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domenica 29 gennaio 2017

L'EMA dice sì all'impiego del Revlimid come terapia di mantenimento dopo il TRAPIANTO


LONDRA, 29 gennaio - Il trapianto autologo di cellule staminali nel paziente giovane e in buona condizione fisica (“fit”) rappresenta tutt’ora la migliore opzione terapeutica per la cura del mieloma multiplo. 

Tuttavia, la maggior parte di coloro che si sottopongono al trapianto, perfino quelli che raggiungono una risposta completa, finisce per avere una ricaduta o una progressione della malattia.

Nella riunione di gennaio, il Chmp dell’Ema (l'agenzia europea per i medicinsli<9 ha dato parere positivo all’impiego di lenalidomide per la terapia di mantenimento in pazienti adulti con mieloma multiplo di nuova diagnosi già  sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali.
Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella somministrazione di chemioterapia +/- radioterapia ad intensità sovra-massimale (denominata di “condizionamento”) seguita da una reinfusione delle CSE del paziente stesso, che è quindi al contempo donatore e ricevente, raccolte e congelate prima della terapia.

Il razionale su cui si basa il trapianto autologo di CSE è legato alla spiccata chemio sensibilità di molte neoplasie ematologiche, che hanno la capacità di rispondere e quindi andare incontro ad eradicazione, dopo somministrazione di dosaggi elevati di chemioterapia.

martedì 10 gennaio 2017

MIELOMA, le nuove frontiere: l'autotrapianto manipolato Car-T


È una grande promessa per la cura di molti tumori del sangue: una strategia innovativa per ora sperimentata soprattutto su pazienti gravissimi, ai quali restano pochi mesi di vita. La terapia Car-T ha dato esiti molto incoraggianti contro linfomi aggressivi e indolenti, diverse forme di leucemia e mieloma, in adulti e bambini. Questa sorta di «auto-trapianto manipolato» è un trattamento molto sofisticato (e altrettanto rischioso per i potenziali gravi effetti collaterali che comporta) ed è stato al centro dell’attenzione degli esperti riuniti al congresso annuale della Società Americana di Ematologia (Ash), tenutosi in California alcune settimane fa. Abbiamo chiesto a Umberto Vitolo, direttore dell’Ematologia alle Città della Salute e della Scienza di Torino, di aiutarci a capirne di più.

Professore, in cosa consiste in pratica la terapia Car-T?
«Quando si sviluppa un tumore vuol dire che il nostro sistema immunitario non è stato in grado di reagire contro le cellule tumorali. In particolare i linfociti T, un cui sottotipo è deputato alla sorveglianza antitumore, sono inefficienti. La tecnologia Car-T (T appunto da linfociti T, in inglese Chimeric antigen receptor T cell) è molto sofisticata e consiste nell'isolare le cellule tumorali del paziente e i suoi linfociti T. Per far questo è sufficiente una semplice leucaferesi, ovvero una procedura di raccolta dei linfociti e altre cellule (in pratica il metodo prevede di estrarre, con una semplice raccolta di sangue che dura un paio di ore, alcuni linfociti T del malato). La cosa difficile è immettere nei linfociti T del paziente, tramite un pezzetto di un virus particolare, un particolare recettore (Car) specifico per le cellule tumorali del paziente rendendo così i linfociti T del paziente nuovamente reattivi contro le cellule tumorali». 
Per questo si parla di «auto-trapianto manipolato»?
«Esattamente. Una volta estratti, i linfociti T vengono maneggiati in laboratorio per equipaggiarli con due potenti “munizioni”: un recettore da mettere sulla superficie esterna (come una sorta di “rilevatore di nemici”) in grado di riconoscere la proteina presente nella maggior parte delle cellule cancerose del tumore in questione (leucemia, mieloma), molto più potente del recettore originale e in grado di eludere alcuni meccanismi di resistenza adottati dalle cellule tumorali; e un meccanismo posto all’interno del linfocita T, che lo stimola a espandersi e proliferare nel momento in cui si attacca alla proteina malata, dopo averla riconosciuta. A questo punto i linfociti T potenziati vengono espansi in vitro e poi reinfusi nel paziente e incominciano la loro azione riconoscendo le cellule tumorali ed eliminandole. Un aspetto particolarmente positivo di questa strategia è che l'azione contro le cellule tumorali è continua e dura sostanzialmente per sempre: ovvero, se la malattia si ripresenta i T-Car identificano le nuove cellule cancerose e ricominciano a ucciderle».
Al convegno Ash di San Diego sono state presentati diversi studi su questa terapia: per quali tumori è in sperimentazione? E con quali risultati?
«La sperimentazione è stata condotta con successo nelle leucemie linfoblastiche in recidiva di bambini e, in un minor numero di casi e con risultati inferiori, di adulti. Ci sono poi trial in corso anche in vari tipi di linfomi e mielomi e si sta studiando come fare per le leucemie mieloblastiche. Inoltre si stanno facendo indagini scientifiche anche su alcuni tumori solidi. I risultati per ora sono migliori nei bambini rispetto agli adulti, come accade anche con la chemioterapia tradizionale, perché queste forme di cancro sono più sensibili alla terapia nei piccoli. Inoltre si è visto che questi linfociti T modificati (Car-T cells) vivono più a lungo nei bambini garantendo una risposta più duratura. Nelle leucemie linfoblastiche acute si sono ottenute, in pazienti che non rispondevano a nessuna delle altre terapie, elevate percentuali di remissione completa: tra il 70 e l’85 per cento, con circa il 60 per cento dei pazienti vivo a sei mesi e circa il 50 per cento a 18 mesi, e in alcuni casi con remissioni anche più durature». 
Come sempre in ambito scientifico, non si può però parlare di «cura miracolosa»…
«Ovviamente no, perché le cellule tumorali possono essere resistenti anche a questa terapia. E poi si tratta di un trattamento molto complesso, che deve essere condotto in centri con grande esperienza. Dalle sperimentazioni condotte finora è poi emerso che possono insorgere effetti collaterali anche molto gravi (neurologici, infezioni e sindrome dovuta al rilascio, stimolato da questi linfociti T, di particolare sostanze infiammatorie che possono provocare effetti collaterali di varia natura quali febbre elevata, ipotensione, insufficienza respiratoria e danni a vari organi), che hanno anche portato al decesso di alcuni malati, per cui il centro dev’essere anche attrezzato con unità di rianimazione e pronto intervento. Insomma, la conduzione della terapia non è facile e solo poche centri possono essere qualificati a farlo».
È per questo che in Italia non è disponibile?
«No. L’ematologia italiana, come hanno dimostrato anche le statistiche più recenti , è ai massimi livelli in tutto il mondo e i nostri centri d’avanguardia offrono le stesse terapie che si possono trovare nelle migliori strutture estere. L’unica differenza con la terapia T-Car è che al momento i sofisticatissimi laboratori in grado di manipolare con successo le cellule sono negli Usa e si stanno attivando alcuni in Europa (Germania e Inghilterra). Nel nostro Paese stanno comunque partendo studi sperimentali nei vari tipi di tumore: anche se non esistono al momento laboratori attrezzati, le cellule del paziente possono essere inviate nel laboratorio specifico dove vengono manipolate e rispedite al centro che provvede alla loro reinfusione».