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venerdì 7 luglio 2017

Il DARATUMUMAB, killer del MIELOMA, è rimborsabile in ITALIA

ROMA, 7 luglio - Un 'serial killer' addestrato a colpire un solo bersaglio: le cellule del mieloma. E' rimborsabile in Italia il daratumumab, farmaco targato Janssen che offre una nuova speranza ai pazienti con mieloma multiplo recidivato refrattario, contrastando questa patologia rara con un meccanismo d'azione innovativo. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è del 3 luglio.
Daratumumab - ricordano dalla filiale italiana del gruppo Usa - è il primo di una nuova classe di anticorpi monoclonali (gli anti CD-38) che, grazie a un meccanismo d'azione completamente nuovo, è in grado sia di stimolare il sistema immunitario a contrastare il tumore sia di attaccare direttamente le cellule del mieloma multiplo. E' anche il primo e unico anticorpo monoclonale per il mieloma a essersi dimostrato efficace anche in monoterapia. Daratumumab permette ai pazienti diventati resistenti a tutte le classi di farmaci disponibili di prolungare la sopravvivenza di 3 o 4 volte.
"Siamo orgogliosi di poter offrire speranza e un'opzione terapeutica valida a pazienti che sino a oggi non l'avevano - afferma Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia - Daratumumab è stato definito un 'killer seriale', ma di fatto è un killer buono in grado sia di stimolare il sistema immunitario sia di attaccare e uccidere solo le cellule cattive, consentendo ai pazienti di aumentare non solo le aspettative, ma anche la qualità della loro vita in modo impensabile sino a ieri".

domenica 2 luglio 2017

MIELOMA, Franco Grillini e la malattia che lo ha colpito

BOLOGNA - Franco Grillini si è perso un solo Pride, quando nel 2006 si ruppe una gamba. Oggi ci sarà e non è un fatto scontato. Da mesi lotta contro un tumore che lo ha debilitato. Lui stesso su Facebook ha annunciato la sua presenza al corteo bolognese. «Ci sarò in carrozzina nonostante la malattia, l’orgoglio vince su tutto», ha scritto il fondatore del movimento omosessuale italiano. 
Come sta?
«Mi è capitato un mieloma multiplo, il più cattivo. Ma ho deciso di non nascondere la mia malattia. Non ci si può vergognare di avere un tumore. Né avere sensi di colpa. Questo senso di colpa lo conosco bene, quando all’inizio delle nostre battaglie lottavamo contro l’Aids e ai tempi non c’era neppure una terapia. Per questo voglio andare al Pride a viso scoperto, con tutta la fatica che ne consegue, perché andare ad un corteo in carrozzina non è facilissimo. A piedi non ce la faccio, ho poca autonomia. Un mio amico mi verrà a prendere con il suo furgone. Manifesterò al fianco di una signora, una mamma di 85 anni, pure lei su una carrozzina». 
Come passa le giornate? 
«Tra cure ed esami. Poi, con le energie che mi rimangono, mi dedico al movimento. Nonostante tutto mi do da fare. Ad aprile in Sala Rossa ho celebrato la mia prima unione civile, a inizio giugno ho fatto un comizio a Reggio Emilia sotto il sole, con il mio bastone, perché ora sono molto magro. Ero corpulento, pesavo 110 chili, adesso 60. Mi sono dimezzato. Esteticamente sto meglio così. Insomma, cure e impegno politico. Farò un comizio anche dalla bara».
Il suo umorismo è rimasto intatto. 
«E devo dire che in questi mesi ho anche conosciuto tante persone che non rivedevo da anni, ricevo un affetto da tutta Italia inaspettato». 
Esserci fisicamente al Pride, perché dopo tanti anni è così importante? 
«È una giornata che consente a migliaia di persone di ribadire una richiesta di uguaglianza. Poi quest’anno è particolarmente importante. In Germania hanno votato i matrimoni ugualitari in 38 minuti. È arrivato il momento di chiedere alla sinistra italiana di superare tutte le sue ambiguità. E lo dico anche a Pisapia, che tra i suoi ha personaggi come Tabacci che rilascia dichiarazioni che c’entrano poco con la sinistra. E sono contento che Merola abbia scelto di essere al Pride, gli fa onore». 
Cosa significa essere omosessuale oggi rispetto a quando era giovane? 
«Prima era molto più difficile fare coming out. Dopo la nostra rivoluzione gentile non lo è più. Oggi i ragazzi riescono a farlo a 16, io ne avevo 27. E fu molto faticoso». 
Chi fu il primo a saperlo? 
«Lo dissi agli amici, poi a mia sorella e più tardi ai miei genitori. Fu molto divertente. Era il 1985, il movimento stava cercando di organizzare un festival sul cinema gay a Riccione. Il sindaco comunista prima disse sì poi cambiò idea per le proteste. Un’insurrezione machista di chi gli diceva che le svedesi non sarebbero più andate a Riccione, che cambiò presto il nome in Ricchione, così come viale Ceccarini diventò Checcarini. La Rai mi chiamò per un’intervista alla radio, andò in onda alle otto del mattino. Nel pomeriggio mia mamma mi chiama e dice: “Ti abbiamo sentito, ma che bella voce che hai. Ma dimmi un po’, tu cosa c’entri con gli omosessuali?”. Me ne occupo, le risposi. E lei, una donna operaia con la seconda elementare, aggiunse solo: “Se tu sei felice, noi siamo contenti”». 
L’orgoglio di manifestare è rimasto lo stesso o è cambiato? 
«Ora è diventato normale manifestare, prima no. Il Pride quest’anno si terrà in 24 città. Ma quale partito oggi è in grado di portare così tanta gente in piazza? È il nostro Primo maggio, vorrei diventasse una festa nazionale. Così come spero ancora che sul Cassero di Porta Saragozza, la nostra prima sede, prima o poi qualcuno possa metterci una targa per ricordare a tutti cosa fu quel luogo».