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venerdì 8 luglio 2016

#MIELOMA, dieci nuovi farmaci approvati in un anno. E si continua


UN CAMBIO di paradigma è un fondamentale cambiamento dei concetti di base e della metodologia sperimentale di una disciplina scientifica. E’ questo un concetto applicabile oggi al mieloma multiplo, una malattia subdola e progressivamente emergente? E’ stato questo il filo conduttore del convegno internazionale “Multiple Myeloma 2016: Perspectives for a paradigm change”, organizzato presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro da Pierfrancesco Tassone Angelo Vacca dal 30 giugno fino 2 luglio.

“Il mieloma è una malattia complessa, nella quale le interazioni fra plasmacellule maligne e microambiente del midollo osseo svolgono un ruolo essenziale. Anche se questa complessità rappresenta un ostacolo importante per la cura della malattia, la ricerca più recente ha evidenziato un numero sempre crescente di nuovi bersagli molecolari per superare questi ostacoli”, ha affermato Angelo Vacca dell’Università di Bari.

E’ proprio su questi bersagli che la ricerca apre a importanti prospettive terapeutiche. “Oltre dieci nuovi farmaci sono stati approvati da enti regolatori internazionali, quali Fda o Ema e almeno la metà di questi solo nell’ultimo anno, portando alla necessità di una profonda revisione delle linee guida internazionali per il trattamento della malattia. Accanto a questi successi terapeutici che stanno divenendo progressivamente fruibili per i pazienti, nuovi farmaci e nuove strategie sono in corso di sviluppo. Il problema attuale è costruire un sistema sostenibile”, ha spiegato Pierfrancesco Tassonedell’Università di Catanzaro.

Il convegno non ha però esclusivamente fatto il punto sullo scenario attuale, ma ha presentato alla comunità scientifica risultati originali di sicuro impatto sulla ricerca e sulla terapia del mieloma nei prossimi anni. Gli elementi fondamentali dello scenario futuro sono stati ben delineati da Kenneth Anderson del Dana-Farber Cancer Institute/Harvard Medical School di Boston: “I punti di forza del tumore diventano anche punti di vulnerabilità dello stesso, veri e propri talloni d’Achille”. Ecco la chiave di lettura.

Instabilità genetica ed evoluzione clonale. Le cellule di mieloma non riparano adeguatamente il proprio DNA e risultano pertanto geneticamente instabili. Questa instabilità provoca a sua volta la selezione di cloni tumorali con maggiore capacità di adattamento, portando la malattia ad assumere caratteristiche sempre nuove. Questo fenomeno, definito “eterogeneità clonale”, rappresenta il principale ostacolo per terapie efficaci. “Non solo ciascun tumore è diverso dall’altro, ma all’interno dello stesso tumore sono presenti differenti popolazioni, ciascuna con specifiche aberrazioni geniche che ne determinano il fenotipo di malignità. Oggi abbiamo gli strumenti per identificare questi cloni e costruire strategie per colpirli in maniera selettiva”, ha sottolineato Leif Bergsagel della Mayo Clinic di Scottsdale.

Nuovi regolatori dell’espressione genica. Tecnologie d’avanguardia hanno permesso di identificare nuove modalità di regolazione dell'espressione genica tumore-specifica quali potenziali bersagli per nuove terapie sperimentali. Nuove tecniche di sequenziamento hanno permesso l’identificazione di regioni critiche nel Dna del tumore che svolgono funzioni chiave nello sviluppo dello stesso. La sperimentazione di farmaci innovativi in grado di interferire con tali regioni critiche appare estremamente promettente. “Gli inibitori di BET bromodomain sono tra questi farmaci”, ha spiegato Mariateresa Fulciniti del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, “e abbiamo sviluppato un modello terapeutico di alta rilevanza per la sperimentazione clinica”. “Altri farmaci molecolari che modulano l’espressione dei geni sono gli inibitori di RNA non codificanti, quali ad esempio i microRNA”, ha continuato Pierfrancesco Tassone “siamo molto vicini alla sperimentazione clinica di questi nuovi agenti”.

Immuno-oncologia. La riscoperta del ruolo del sistema immunitario ha aperto nuove frontiere nel trattamento di questa malattia. “Dopo i brillanti risultati di terapie immunologiche aspecifiche ma di sicura attività clinica, è ora il momento di educare il sistema immunitario con strategie selettive come quelle basate sui vaccini o su cellule immunitarie geneticamente modificate”, ha affermato Martin Gramatzki dell’Università di Kiel.

“Non è possibile avere una sola chiave di lettura, oggi disponiamo di modalità di analisi diverse come la genomica, la proteomica, l’epigenomica. Ma disponiamo anche di metodiche innovative d’integrazione dei dati in silico fondate su tecnologie informatiche. Proprio su questo, il nostro gruppo ha presentato dati originali su di una nuova firma molecolare con forte valore prognostico” ha concluso Pierosandro Tagliaferri dell’Università di Catanzaro.

mercoledì 6 luglio 2016

#MIELOMA, il trapianto autologo rimane il trattamento di scelta in prima battuta. Meglio del bortezomid

BOLOGNA, 6 luglio - Nei pazienti giovani ai quali è stato da poco diagnosticato un mieloma multiplo, il trapianto autologo di cellule staminali dovrebbe rimanere il trattamento di scelta in prima battuta. A indicarlo sono i risultati ad interim dello studio EMN02/H095 MM, uno studio randomizzato di fase III presentato in occasione del recente congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago.

"Il trapianto autologo è risultato associato a un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) se confrontato con il regime VMP, cioè la combinazione di bortezomib, melfalan e prednisone, nell’insieme della popolazione studiata", ha detto Michele Cavo, direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seragnoli all’Università degli Studi-Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna.

Cavo ha spiegato che nell’era dei nuovi farmaci il ruolo del trapianto autologo è stato messo in discussione. In precedenza, il ruolo del trapianti era stato accettato sulla base di studi clinici randomizzati che avevano confrontato il trapianto o il non trapianto con la chemioterapia convenzionale. Quegli studi, tuttavia, erano stati effettuati senza che bortezomib fosse incluso nella terapia di induzione prima del trapianto. Invece, ha proseguito il professore, l'utilizzo di una terapia a base di bortezomib è ora "il gold standard per tutti i pazienti affetti da mieloma mutiplo candidabili al trapianto".

Lo studio EMN02/H095 MM ha coinvolto 1266 pazienti con non più di 65 anni ai quali era stato da poco diagnosticato un mieloma multiplo. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a 3-4 cicli della terapia di induzione con la combinazione bortezomib-ciclofosfamide-desametasone, seguita dal trattamento con la sola ciclofosfamide a un dosaggio compreso fra 2 e 4 g/m2, in aggiunta al G-CSF per mobilizzare le cellule staminali del sangue periferico. La soglia per la raccolta ottimale di cellule staminali è stata fissata in 2 x 106 di cellule CD34+.

Per la prima randomizzazione, i pazienti che hanno raggiunto il valore soglia delle cellule CD34+ sono stati trattati con melfalan ad alto dosaggio (200 mg/m2) e sono stati sottoposti a un trapianto autologo singolo o doppio (nei centri che seguono una politica di doppio intensificazione, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con melfalan o con il regime VMP), oppure sono stati trattati con quattro cicli del regime VMP, che, ha spiegato Cavo, era lo standard di cura in Europa quando lo studio è stato progettato.

Per la seconda randomizzazione, i pazienti di entrambi i bracci sono stati sottoposti a una terapia di consolidamento con due cicli di bortezomib, lenalidomide e desametasone (regime VRD) oppure non sottoposti ad alcuna terapia di consolidamento. I pazienti di entrambi i bracci hanno poi fatto una terapia di mantenimento con lenalidomide 10 mg al giorno fino alla ricaduta o alla progressione della malattia.

La prima analisi ad interim prevista dal protocollo, è stata effettuata su 1192 pazienti nei primi mesi del 2016, dopo che era stato osservato il 33% degli eventi richiesti in termini di PFS (che era l’endpoint primario dello studio) dalla prima randomizzazione. Sono stati inclusi nell’analisi pazienti che non avevano più di 63 anni e con un follow-up mediano di 26 mesi.

La PFS a 36 mesi è risultata superiore tra i pazienti sottoposti al trapianto rispetto a quelli trattati con il regime VMP (HR 0,73; IC al 95% 0,59-0,90; P = 0,001). Tale vantaggio si è mantenuto nei sottogruppi di pazienti a basso e ad alto rischio. Il beneficio di PFS associato al trapianto nella popolazione complessiva si è mantenuto nell'analisi multivariata nei pazienti con citogenetica a rischio standard e un punteggio dell’Internazional Staging System pari a I e "la superiorità del trapianto rispetto al regime VMP è stata ulteriormente convalidata dal miglioramento significativo della percentuale di risposta parziale molto buona o ancora migliore" (84% contro74%; OR 1,90; IC 1,42-2,54; P < 0,0001).

Inoltre, l’analisi di regressione di Cox ha confermato che il trapianto è un fattore predittivo di prolungamento della PFS (HR 0,61, IC 0,45-0,82; P = 0,001).

I dati sulla sopravvivenza globale (OS) non sono ancora maturi e Cavo ha detto che per ora non si vede alcuna differenza fra i due gruppi di trattamento.

I risultati di questa analisi, ha concluso il professore, convalidano la conclusione che il trapianto autologo di cellule staminali upfront "continua ad essere il trattamento di riferimento per i pazienti ‘fit’ con mieloma multiplo di nuova diagnosi, anche nell'era degli agenti innovativi e anche nella confronto prospettico con un regime a dosaggio standard contenente bortezomib"