BOLOGNA, 6 luglio - Nei pazienti giovani ai quali è stato da poco diagnosticato un mieloma multiplo, il trapianto autologo di cellule staminali dovrebbe rimanere il trattamento di scelta in prima battuta. A indicarlo sono i risultati ad interim dello studio EMN02/H095 MM, uno studio randomizzato di fase III presentato in occasione del recente congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago.
"Il trapianto autologo è risultato associato a un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) se confrontato con il regime VMP, cioè la combinazione di bortezomib, melfalan e prednisone, nell’insieme della popolazione studiata", ha detto Michele Cavo, direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seragnoli all’Università degli Studi-Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna.
Cavo ha spiegato che nell’era dei nuovi farmaci il ruolo del trapianto autologo è stato messo in discussione. In precedenza, il ruolo del trapianti era stato accettato sulla base di studi clinici randomizzati che avevano confrontato il trapianto o il non trapianto con la chemioterapia convenzionale. Quegli studi, tuttavia, erano stati effettuati senza che bortezomib fosse incluso nella terapia di induzione prima del trapianto. Invece, ha proseguito il professore, l'utilizzo di una terapia a base di bortezomib è ora "il gold standard per tutti i pazienti affetti da mieloma mutiplo candidabili al trapianto".
Lo studio EMN02/H095 MM ha coinvolto 1266 pazienti con non più di 65 anni ai quali era stato da poco diagnosticato un mieloma multiplo. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a 3-4 cicli della terapia di induzione con la combinazione bortezomib-ciclofosfamide-desametasone, seguita dal trattamento con la sola ciclofosfamide a un dosaggio compreso fra 2 e 4 g/m2, in aggiunta al G-CSF per mobilizzare le cellule staminali del sangue periferico. La soglia per la raccolta ottimale di cellule staminali è stata fissata in 2 x 106 di cellule CD34+.
Per la prima randomizzazione, i pazienti che hanno raggiunto il valore soglia delle cellule CD34+ sono stati trattati con melfalan ad alto dosaggio (200 mg/m2) e sono stati sottoposti a un trapianto autologo singolo o doppio (nei centri che seguono una politica di doppio intensificazione, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con melfalan o con il regime VMP), oppure sono stati trattati con quattro cicli del regime VMP, che, ha spiegato Cavo, era lo standard di cura in Europa quando lo studio è stato progettato.
Per la seconda randomizzazione, i pazienti di entrambi i bracci sono stati sottoposti a una terapia di consolidamento con due cicli di bortezomib, lenalidomide e desametasone (regime VRD) oppure non sottoposti ad alcuna terapia di consolidamento. I pazienti di entrambi i bracci hanno poi fatto una terapia di mantenimento con lenalidomide 10 mg al giorno fino alla ricaduta o alla progressione della malattia.
La prima analisi ad interim prevista dal protocollo, è stata effettuata su 1192 pazienti nei primi mesi del 2016, dopo che era stato osservato il 33% degli eventi richiesti in termini di PFS (che era l’endpoint primario dello studio) dalla prima randomizzazione. Sono stati inclusi nell’analisi pazienti che non avevano più di 63 anni e con un follow-up mediano di 26 mesi.
La PFS a 36 mesi è risultata superiore tra i pazienti sottoposti al trapianto rispetto a quelli trattati con il regime VMP (HR 0,73; IC al 95% 0,59-0,90; P = 0,001). Tale vantaggio si è mantenuto nei sottogruppi di pazienti a basso e ad alto rischio. Il beneficio di PFS associato al trapianto nella popolazione complessiva si è mantenuto nell'analisi multivariata nei pazienti con citogenetica a rischio standard e un punteggio dell’Internazional Staging System pari a I e "la superiorità del trapianto rispetto al regime VMP è stata ulteriormente convalidata dal miglioramento significativo della percentuale di risposta parziale molto buona o ancora migliore" (84% contro74%; OR 1,90; IC 1,42-2,54; P < 0,0001).
Inoltre, l’analisi di regressione di Cox ha confermato che il trapianto è un fattore predittivo di prolungamento della PFS (HR 0,61, IC 0,45-0,82; P = 0,001).
I dati sulla sopravvivenza globale (OS) non sono ancora maturi e Cavo ha detto che per ora non si vede alcuna differenza fra i due gruppi di trattamento.
I risultati di questa analisi, ha concluso il professore, convalidano la conclusione che il trapianto autologo di cellule staminali upfront "continua ad essere il trattamento di riferimento per i pazienti ‘fit’ con mieloma multiplo di nuova diagnosi, anche nell'era degli agenti innovativi e anche nella confronto prospettico con un regime a dosaggio standard contenente bortezomib"
"Il trapianto autologo è risultato associato a un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) se confrontato con il regime VMP, cioè la combinazione di bortezomib, melfalan e prednisone, nell’insieme della popolazione studiata", ha detto Michele Cavo, direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seragnoli all’Università degli Studi-Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna.
Cavo ha spiegato che nell’era dei nuovi farmaci il ruolo del trapianto autologo è stato messo in discussione. In precedenza, il ruolo del trapianti era stato accettato sulla base di studi clinici randomizzati che avevano confrontato il trapianto o il non trapianto con la chemioterapia convenzionale. Quegli studi, tuttavia, erano stati effettuati senza che bortezomib fosse incluso nella terapia di induzione prima del trapianto. Invece, ha proseguito il professore, l'utilizzo di una terapia a base di bortezomib è ora "il gold standard per tutti i pazienti affetti da mieloma mutiplo candidabili al trapianto".
Lo studio EMN02/H095 MM ha coinvolto 1266 pazienti con non più di 65 anni ai quali era stato da poco diagnosticato un mieloma multiplo. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a 3-4 cicli della terapia di induzione con la combinazione bortezomib-ciclofosfamide-desametasone, seguita dal trattamento con la sola ciclofosfamide a un dosaggio compreso fra 2 e 4 g/m2, in aggiunta al G-CSF per mobilizzare le cellule staminali del sangue periferico. La soglia per la raccolta ottimale di cellule staminali è stata fissata in 2 x 106 di cellule CD34+.
Per la prima randomizzazione, i pazienti che hanno raggiunto il valore soglia delle cellule CD34+ sono stati trattati con melfalan ad alto dosaggio (200 mg/m2) e sono stati sottoposti a un trapianto autologo singolo o doppio (nei centri che seguono una politica di doppio intensificazione, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con melfalan o con il regime VMP), oppure sono stati trattati con quattro cicli del regime VMP, che, ha spiegato Cavo, era lo standard di cura in Europa quando lo studio è stato progettato.
Per la seconda randomizzazione, i pazienti di entrambi i bracci sono stati sottoposti a una terapia di consolidamento con due cicli di bortezomib, lenalidomide e desametasone (regime VRD) oppure non sottoposti ad alcuna terapia di consolidamento. I pazienti di entrambi i bracci hanno poi fatto una terapia di mantenimento con lenalidomide 10 mg al giorno fino alla ricaduta o alla progressione della malattia.
La prima analisi ad interim prevista dal protocollo, è stata effettuata su 1192 pazienti nei primi mesi del 2016, dopo che era stato osservato il 33% degli eventi richiesti in termini di PFS (che era l’endpoint primario dello studio) dalla prima randomizzazione. Sono stati inclusi nell’analisi pazienti che non avevano più di 63 anni e con un follow-up mediano di 26 mesi.
La PFS a 36 mesi è risultata superiore tra i pazienti sottoposti al trapianto rispetto a quelli trattati con il regime VMP (HR 0,73; IC al 95% 0,59-0,90; P = 0,001). Tale vantaggio si è mantenuto nei sottogruppi di pazienti a basso e ad alto rischio. Il beneficio di PFS associato al trapianto nella popolazione complessiva si è mantenuto nell'analisi multivariata nei pazienti con citogenetica a rischio standard e un punteggio dell’Internazional Staging System pari a I e "la superiorità del trapianto rispetto al regime VMP è stata ulteriormente convalidata dal miglioramento significativo della percentuale di risposta parziale molto buona o ancora migliore" (84% contro74%; OR 1,90; IC 1,42-2,54; P < 0,0001).
Inoltre, l’analisi di regressione di Cox ha confermato che il trapianto è un fattore predittivo di prolungamento della PFS (HR 0,61, IC 0,45-0,82; P = 0,001).
I dati sulla sopravvivenza globale (OS) non sono ancora maturi e Cavo ha detto che per ora non si vede alcuna differenza fra i due gruppi di trattamento.
I risultati di questa analisi, ha concluso il professore, convalidano la conclusione che il trapianto autologo di cellule staminali upfront "continua ad essere il trattamento di riferimento per i pazienti ‘fit’ con mieloma multiplo di nuova diagnosi, anche nell'era degli agenti innovativi e anche nella confronto prospettico con un regime a dosaggio standard contenente bortezomib"
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