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domenica 30 aprile 2017

MIELOMA, la commissione europea concede la piena autorizzazione per il DARATUMUMAB


Janssen-Cilag International NV ("Janssen") ha oggi annunciato che la Commissione europea (CE) ha concesso l'approvazione per l'utilizzo di DARZALEX (daratumumab) in combinazione con lenalidomide e dexamethasone, o bortezomib (VELCADE®) e dexamethasone, per il trattamento dei pazienti adulti affetti da mieloma multiplo (MM) già sottoposti ad almeno una terapia precedente.
La decisione della CE si basa sui dati dello studio clinico di fase 3 POLLUX (MMY3003), presentato nel corso della sessione plenaria ad ASCO 2016 e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel mese di agosto 2016; e sullo studio clinico di fase 3 CASTOR (MMY3004), presentato nel corso della sessione Presidenziale all'EHA 2016 e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel mese di ottobre 2016. L'aggiunta di daratumumab ha significativamente ridotto il rischio di progressione della malattia o decesso, del 63% nello studio clinico POLLUX e del 61% nello studio clinico CASTOR, in combinazione con regimi terapeutici standard (p<0,001 in entrambi gli studi).1,2
Il profilo di sicurezza di daratumumab in combinazione con i regimi terapeutici standard era coerente con i dati degli studi su daratumumab in monoterapia e con i dati sui regimi terapeutici standard. In combinazione con lenalidomide e dexamethasone (POLLUX), gli eventi avversi più comuni di grado 3 o 4 verificatisi nel corso del trattamento sono stati neutropenia (51,9%), trombocitopenia (12,7%) e anemia (12,4%). Reazioni correlate all'infusione associate a daratumumab si sono verificate nel 47,7% dei pazienti ed erano per lo più di grado 1 o 2.1 In combinazione con bortezomib e dexamethasone (CASTOR), tre degli eventi avversi di grado 3 o 4 più comuni sono stati trombocitopenia (45,3%), anemia (14,4%) e neutropenia (12,8%).2 Le reazioni correlate all'infusione associate a daratumumab sono state riferite nel 45,3% dei pazienti, ed erano per lo più di grado 1 o 2 (grado 3 nell 8,6% dei pazienti) e nel 98,2% di questi pazienti si sono verificate nel corso della prima infusione.2
"I dati dei due studi CASTOR e POLLUX hanno dimostrato una migliore sopravvivenza libera da progressione e una riduzione della progressione della malattia o dei decessi rispetto allo standard di cura", ha dichiarato il dottor Torben Plesner, del Vejle Hospital di Vejle, in Danimarca, ricercatore dello studio clinico su daratumumab. "Complessivamente, questi risultati dimostrano che daratumumab, in combinazione con un inibitore del proteasoma o un agende immunomodulante, presenta il potenziale per offrire benefici clinici ai pazienti dopo una o più linee terapiche".
"Questa approvazione rappresenta un passo importante per i malati di mieloma multiplo della nostra regione e offre ad alcuni di essi una nuova opzione di trattamento. I dati osservati a tutt'oggi per daratumumab sono incoraggianti e continueremo a studiare i suoi effetti potenziali", è stato il commento della Dottoressa Catherine Taylor, responsabile dell'area terapeutica ematologica per Janssen Europe, Middle East and Africa (EMEA).
L'autorizzazione iniziale all'immissione in commercio è stata concessa nel mese di maggio 2016 per daratumumab in monoterapia per il trattamento dei pazienti pazienti adulti affetti da mieloma multiplo recidivato e refrattario, precedentemente sottoposti a una terapia basata su un inibitore del proteasoma e su un agente immunomodulante con dimostrata progressione della malattia rispetto all'ultimo trattamento somministrato. Questa autorizzazione aveva carattere condizionale e richiedeva la presentazione, da parte di Janssen, di ulteriori dati degli studi clinici MMY3003 (POLLUX) e MMY3004 (CASTOR). Con la presentazione di questi risultati, la CE reputa che i requisiti specifici associati all'autorizzazione all'immissione in commercio condizionale siano stati soddisfatti e acconsente quindi al passaggio da autorizzazione condizionale a piena autorizzazione.

sabato 22 aprile 2017

Il MIELOMA è come un olivo nodoso e contorto

Dal CORRIERE DELLA SERA

Proviamo a pensare ai tumori del sangue come fossero alberi, suggerisce Gareth Morgan, uno dei più noti ematologi inglesi: la leucemia linfoblastica acuta, per esempio, è come un palma con un ciuffo di rami in cima, il mieloma multiplo è paragonabile, invece, a un ulivo nodoso e contorto, con i rami che partono da ogni parte del tronco, si intrecciano fra di loro e sono ricchi di foglie. La leucemia è un tumore dei globuli bianchi, linfociti in particolare, che colpisce soprattutto i bambini, e in una certa percentuale di casi è caratterizzata da una mutazione genetica precisa, quella del cosiddetto cromosoma Filadelfia: è stata uno dei primi tumori trattati con un innovativo farmaco a bersaglio molecolare, l’imatinib, diretto cioè contro una proteina prodotta da un gene anomalo. 
Eccesso di mutazioni
Il mieloma è una neoplasia che colpisce le plasmacellule (normalmente producono anticorpi, ma quando si moltiplicano in maniera incontrollata producono proteine anomale che si possono rilevare nel sangue), è il tumore più “mutato” che esiste: il numero di alterazioni che si rincorrono nelle sue cellule durante la sua evoluzione sono infinite, il problema sta nel capire quali sono importanti e quali no. «Non ci siamo ancora arrivati – ha commentato Mario Boccadoro, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Città della Salute e della Scienza di Torino, in occasione del 16th International Myeloma Workshop che si è tenuto a New Delhi – ma l’obiettivo è ovvio: valutare le mutazioni e trovare la terapia migliore per ogni singolo paziente. Oggi con i nuovi farmaci immunologici qualche passo avanti si sta facendo». L’Istituto diretto da Gareth Morgan ha dato vita al Multiple Myeloma Genome Project che sta raccogliendo i dati di un gran numero di pazienti, relativi sia alla morfologia del tumore sia alla sua evoluzione clinica: siamo nel campo dei cosiddetti Big Data che, se ben interpretati, potranno essere di aiuto per trovare le migliori combinazioni di farmaci da usare in terapia (hanno collaborato al progetto anche due italiani, Michele Cavo e Annamaria Brioli dell’Istituto di Ematologia Seragnoli all’Università di Bologna). Già oggi l’approccio terapeutico a un paziente con mieloma è in qualche modo personalizzato, ma soltanto in base all’età. «Nei pazienti più anziani spesso affetti da comorbidità (che presentano cioè altre malattie) – precisa Boccadoro - occorre scegliere con molta attenzione i farmaci per evitare tossicità. Di solito si ricorre a chemioterapici a basse dosi associati più o meno alla radioterapia». Nei pazienti più giovani (con meno di 70 anni), dopo il trattamento con i farmaci, si percorre più spesso la strada del trapianto di cellule staminali (dopo radioterapia). 
Farmaci mirati
Ma intanto si sono fatti strada anche i farmaci biologici (diversi dai chemioterapici). Attualmente sono due le terapie standard per il mieloma multiplo. Una si basa sulla somministrazione di bortezomib (un farmaco biologico che impedisce alla cellula tumorale di smaltire i rifiuti e quindi la fa morire “soffocata”) associato a un cortisonico, il desametasone. L’altro sulla lenalidomide (derivata dalla tristemente famosa talidomide, che in passato si è resa responsabile di malformazioni nei feti), sempre associata a un cortisonico («Ancora non sappiamo come funziona la lenalidomide”- ammette Boccadoro – ma funziona»). Ma a queste terapie si sta ora cercando di associare nuovi farmaci della categoria degli immunoterapici (capaci cioè di stimolare il sistema immunitario a difendersi dal tumore) soprattutto per il trattamento delle recidive della malattia, che non sono infrequenti.
Nuova molecola
«Uno di questi immunoterapici è l’elotuzumab – aggiunge Boccadoro – un farmaco che stimola il sistema immunitario ad aggredire il tumore. È diretto contro Slam7, una proteina di superficie presente sia sulle cellule del mieloma che su quelle dei linfociti cosiddetti natural killer, capaci appunto di distruggere le cellule tumorali». Il farmaco ha già ricevuto nel maggio scorso l’approvazione dell’agenzia regolatoria europea (Ema) in base ai risultati di uno studio (Eloquent-2, pubblicato sul New England Journal of Medicine) su 646 pazienti che avevano già ricevuto almeno una precedente terapia: la molecola, in combinazione con lenalidomide e desametazone, ha mostrato una riduzione del 30 per cento del rischio di progressione della malattia o di morte e un aumento relativo del 52 per cento del tasso di sopravvivenza libera da progressione a due anni. In altre parole: in molti casi la malattia si arresta e non evolve negativamente. È prevista nei prossimi mesi la disponibilità della molecola anche in Italia. Ci sono altri due farmaci all’orizzonte da associare alle terapie standard, il carfilzomib (anche questo impedisce la distruzione dei rifiuti da parte delle cellule tumorali e ne provoca la morte) e il daratumumab (agisce stimolando il sistema immunitario a difendersi dal tumore) che sono oggetto di verifiche negli studi clinici. 
I sintomi e la diagnosi difficile
Ma quante sono le persone interessate a queste ricerche? Ogni anno in Italia si registrano circa 4.400 nuove diagnosi di mieloma multiplo (nel 2016 ne sono state stimate 2315 fra gli uomini e 2.098 fra le donne. La sopravvivenza globale a un anno è del 76 per cento, dopo un quinquennio scende al 42 per cento. L’incidenza aumenta con l’età: è più frequente negli over 65 (il 38 per cento è over 70), solo il 2 per cento dei pazienti è under 40. Ma come si manifesta il mieloma? Il 75 per cento dei pazienti colpiti da mieloma multiplo, all’esordio della malattia, avverte forte dolore alle ossa, in particolare alla schiena. Sono sintomi debilitanti con un impatto significativo sulla qualità della vita: spesso per queste persone diventa difficile camminare, fare le scale e talvolta non possono più guidare l’automobile. È quindi alto il rischio di confondere questo tumore del sangue con altre patologie comuni e meno gravi. «In un terzo dei casi – precisa Boccadoro – la diagnosi è casuale, dopo esami del sangue di routine». La spia del tumore è rappresentata dalla presenza di picchi di immunoglubuline anomale (anticorpi) in quella che nei referti di laboratorio si chiama “elettroforesi delle proteine”.