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domenica 17 gennaio 2016

DARATUMUMAB, conferme della sua efficacia nei mielomi refrattari in uno studio su THE LANCET


Nei pazienti con mieloma multiplo già trattati con almeno tre terapie (e con una mediana di cinque), daratumumab ha dimostrato di possedere un’attività clinica sostanziale e di essere ben tollerato nello studio di fase II SIRIUS, appena pubblicato su The Lancet.
Sono principalmente i risultati di questo studio ad aver fruttato al nuovo anticorpo monoclonale, il primo approvato per la cura del mieloma multiplo, il via libera della Food and Drug Adminstration per il trattamento dei pazienti con mieloma multiplo refrattari alla terapia con inibitori del proteasoma e con farmaci immunomodulatori, trattati precedentemente con almeno tre terapie. I primi risultati del trial erano stato presentati nel giugno scorso al congresso dell’American Society of Clinical Oncology, terminato di recente a Chicago.
Nell’introduzione, Sagar Lonial, della Emory University di Atlanta, e gli altri ricercatori spiegano che servono nuove opzioni terapeutiche per i pazienti con mieloma multiplo refrattari agli inibitori del proteasoma e ai farmaci immunomodulatori.
Per questo, Loniar e i colleghi hanno provato a valutare daratumumab, un anticorpo monoclonale avente come bersaglio l’antigene CD38, effettuando uno studio multicentrico, in aperto, che ha coinvolto un gruppo di 106 pazienti con mieloma multiplo refrattario.
I partecipanti, arruolati in centri canadesi, spagnoli e statunitensi, sono stati trattati con daratumumab 16 mg/kg. Il tempo mediano dalla diagnosi iniziale era di 4,8 anni (range 1,1-23,8 anni), il numero mediano di precedenti terapie pari a 5 (range 2-14) e l’80% dei pazienti aveva ricevuto un trapianto di cellule staminali autologhe.
In totale, 87 pazienti (l’82%) avevano già fatto più di tre linee di terapia: tutti erano stati già stati trattati con inibitori del proteasoma, farmaci immunomodulatori e desametasone Il 95% dei partecipanti era refrattario agli inibitori del proteasoma e farmaci immunomodulatori utilizzati più di recente e il 97% si era dimostrato refrattario all’ultima linea di terapia effettuata prima dell’arruolamento.
Globalmente, 31 pazienti su 106 hanno avuto una risposta (ORR pari al 29,2%; IC al 95% 20,8-38,9), di cui tre (il 2,8%) sono state risposte complete stringenti, 10 (il 9,4%) risposte parziali molto buone e 18 (il 17%) risposte parziali.
"La resistenza a una qualunque terapia precedente non ha avuto alcun effetto sull'attività di daratumumab, ma questi risultati devono essere confermati in studi più ampi" scrivono Lonial e i colleghi.
Il tempo mediano per arrivare alla prima risposta è stato di un mese (range 0,9-5,6). La durata mediana della risposta è stata di 7,4 mesi (IC al 95% 5,5-non stimabile), mentre la sopravvivenza libera da progressione (PFS) è stata di 3,7 mesi (IC al 95% 2, 8-4,6), la sopravvivenza globale (OS) a 12 mesi è stata del 64,8% (IC al 95% 51, 2-75,5) e, in un successiva cutoff, l’OS mediana è risultata di 17,5 mesi (IC al 95% 13,7-non stimabile).
Daratumumab è stato ben tollerato e gli eventi avversi più comuni ematologici manifestatisi durante il trattamento sono stati anemia (33%), trombocitopenia (25%) e neutropenia (23%). L’altro evento avverso più frequente di qualsiasi grado è stato l’affaticamento (40%). Fatto importante, nessuno degli eventi avversi legati al farmaco ha portato a un’interruzione del trattamento.
Daratumumab si era dimostrato molto ben tollerato anche nello studio di fase I/II GEN501, pubblicato nell’agosto scorso sul New England Journal of Medicine, un altro degli studi su cui si è basata l’approvazione dell’Fda dell’anticorpo per i pazienti altamente pretrattati.
Secondo Lonial e gli altri ricercatori, il profilo di sicurezza favorevole di daratumumab lo rende un candidato promettente per nuove combinazioni e in effetti il farmaco ha già mostrato un’attività precoce in combinazione con lenalidomide e desametasone.

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