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venerdì 30 giugno 2017

#MIELOMA, utilizzate a Torino protesi vertebrali al carbonio per le vertebre dorsali affette dalla malattia


TORINO, 30 giugno - Utilizzate per la prima volta in Piemonte protesi vertebrali d’avanguardia al carbonio che hanno permesso di liberare un paziente dal busto dorso-lombare permanente. È il caso di un medico-paziente sessantenne, affetto da interessamento vertebrale ad opera di un mieloma multiplo trattato presso la Neurochirurgia del San Giovanni Bosco di Torino, diretta dal dott. Federico Griva. “L’intervento cui è stato sottoposto ha permesso di stabilizzare le vertebre dorsali affette dalla malattia e andate incontro a una grave cifotizzazione – spiega il Griva – e per la prima volta in Piemonte, in prova strumentaria per la particolarità caso, abbiamo posizionato un nuovo sistema protesico in tecnopolimero PEEK e carbonio, che non interferisce con i futuri controlli radiologici che saranno necessari per il follow-up del mieloma e non interferisce neppure con i trattamenti radioterapici.”
Durante l’intervento, durato 3 ore, la colonna vertebrale del paziente è stata stabilizzata con un ponte che unifica 6 vertebre, comprendendo quelle malate tra le estremità sane e utilizzando 12 viti al carbonio in sede da D2 a D8 (area scapolare). Il nuovo sistema protesico – simile nell’ancoraggio alle precedenti protesi metalliche e dunque in grado di agevolare i chirurghi con la pratica operatoria abituale – impiega un tecnopolimero ad alta percentuale di carbonio che, a differenza di quanto si è abitualmente osservato con i sistemi protesici tradizionali, non provoca artefatti sui controlli TC e RM. “I malati con tumore vertebrale – commenta Griva – devono fare controlli nel tempo e i campi magnetici interferiscono con i metalli; dunque questa nuova soluzione presenta indubbi vantaggi nella cura dei pazienti affetti da malattie oncologiche vertebrali e, in casi selezionati, diventa la prima opzione da proporre al paziente.”
Il paziente è stato dimesso in ottime condizioni neurologiche ed è potuto ritornare a casa con un normale volo dopo soli 4 giorni di degenza. “Il rinnovamento e lo sviluppo delle tecnologie costituisce un aspetto fondamentale, accanto alle competenze professionali e organizzative, per incrementare e perfezionare la qualità servizi sanitari”, commenta il dott. Valerio Fabio Alberti, Direttore Generale ASL Città di Torino. La Neurochirurgia del San Giovani Bosco effettua ogni anno 700 interventi neurochirurgici, concentrati in un’unica struttura di riferimento HUB, sia per le urgenze sia per l’elezione, per l’intera ASL Città di Torino, Ivrea, Chivasso e Ciriè.

domenica 25 giugno 2017

L'ELOTUZUMAB ha confermato la sua efficacia nel lungo termine

La molecola immuno-oncologica elotuzumab ha confermato la propria efficacia nel lungo termine nel trattamento del mieloma multiplo. È il dato principale di uno studio di fase III presentato nel corso del congresso annuale dell’European Hematology Association. 
Elotuzumab ha ricevuto nel maggio 2016 l’approvazione dall’agenzia regolatoria europea (EMA) in base ai risultati dello studio di fase III (ELOQUENT-2) che ha coinvolto 646 pazienti che hanno ricevuto almeno una precedente terapia ed è disponibile in Italia da aprile 2017. 
Al Congresso di Madrid sono presentati i dati aggiornati a 4 anni di questo studio. «L’Italia ha offerto un contributo importante allo studio ELOQUENT-2», ha illustrato il direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seràgnoli Università degli Studi-Policlinico S. Orsola-Malpighi Bologna Michele Cavo. «Il follow up a 4 anni conferma l’efficacia di elotuzumab nel mantenere la risposta a lungo termine con un buon profilo di tollerabilità. Il 21% dei pazienti trattati con questo nuovo farmaco immuno-oncologico in combinazione con lenalidomide e desametasone (braccio sperimentale) era libero da progressione di malattia o morte rispetto al 14% dei pazienti nel braccio di controllo (trattati con lenalidomide e desametasone), con un incremento relativo del 50% della sopravvivenza libera da progressione». 
Per i pazienti trattati nel braccio con elotuzumab si è mantenuta la riduzione del 29% del rischio di progressione o morte rispetto al braccio di controllo (in linea con i dati presentati a 2 e 3 anni di follow up). «Questo beneficio è costante in tutti i sottogruppi di pazienti, compresi quelli a prognosi sfavorevole», ha aggiunto Cavo. «Inoltre a quattro anni circa il doppio dei pazienti nel braccio sperimentale (17%) è rimasto in trattamento rispetto al braccio di controllo (9%). E la durata mediana della risposta è stata di 21 mesi con la molecola immuno-oncologica rispetto a 16,8 nel braccio di controllo». 
Ogni anno in Italia sono registrate più di 4.400 nuove diagnosi di mieloma multiplo, un tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo. Nonostante i recenti progressi nel trattamento della malattia, soltanto il 51% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi. 
«Fino ai due terzi dei malati presenta dolore osseo, in particolare alla schiena, al momento della diagnosi e circa il 75% mostra fratture ai raggi X», ha spiegato Mario Boccadoro, direttore del dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Città della Salute e della Scienza di Torino. «Sono sintomi debilitanti con un impatto significativo sulla qualità di vita: spesso per queste persone diventa difficile camminare, fare le scale e talvolta non possono più guidare l’automobile. Altro sintomo è l’insufficienza renale che si manifesta alla diagnosi nel 20% dei casi e compare durante l’evoluzione della malattia in almeno il 50% dei pazienti. Molti malati evidenziano cicliche remissioni e recidive, durante le quali sospendono il trattamento per un breve periodo per eventualmente riprenderlo. L’immuno-oncologia, che rinforza il sistema immunitario contro il cancro, ha già dimostrato di essere efficace nel trattamento dei tumori solidi, a partire dal melanoma fino a neoplasie più frequenti come quelle del polmone e del rene in fase avanzata. E oggi sta mostrando risultati importanti anche nei tumori del sangue, in particolare nel mieloma multiplo. Il del beneficio a lungo termine di quest’arma innovativa potrebbe portarci all’obiettivo della cronicizzazione, come già avviene ad esempio in patologie come il diabete».

venerdì 9 giugno 2017

LENALIDOMIDE, la chiave per la cronicizzazione del MIELOMA


CHICAGO, 9 giugno - Mieloma multiplo, una scommessa aperta. Le ultime dal congresso dell'American Society of Clinical Oncology (Asco) aprono scenari di speranza. La malattia rappresenta il 15% di tutti i tumori del midollo (il 18% dei pazienti è più giovane di 50 anni al momento della diagnosi). I farmaci oggi arrivano a bloccare le lancette dell'orologio, rallentando o fermando la spinta verso l'aggravamento. Parliamo di lenalidomide in prima linea, asse portante del trattamento del mieloma, con la dottoressa Francesca Gay, dell'Università di Torino, capofila di un centro sul trattamento del mieloma tra i più quotati al mondo. La patologia (moltiplicazione incontrollata delle plasmacellule che affollano il sangue) provoca dolore scheletrico, indebolimento osseo, danneggia il rene, induce debolezza e anemia.
Nel mieloma si è passati a un trattamento continuativo per via orale ben tollerato, spiega la specialista, con la prospettiva di tenere sotto controllo per lunghi anni la malattia con un'ottima qualità di vita. In genere la terapia prevede per tutti una prima fase più aggressiva. In un tempo successivo proseguendo le cure si instaura la tendenza a cronicizzare, sia nei pazienti anziani che in quelli più giovani. Negli anziani, in condizioni fragili e complesse che non possono sopportare il trapianto, la terapia lenalidomide cortisone, approvata recentemente, va portata avanti senza interruzioni. Nel giovane si prospetta preferibilmente anche il trapianto con cellule staminali, come giro di boa, a seguire le cure di mantenimento, da proseguire a domicilio, con controlli ogni due mesi e ripresa delle normali attività. Da citare come effetti collaterali, un eventuale lieve risentimento gastrointestinale o arrossamenti della pelle, in genere ben gestibili con riduzione del dosaggio, senza mai sospendere le somministrazioni. Due anni fa l'Aifa aveva approvato la rimborsabilità di pomalidomide (altra preziosa risorsa recente, parte della famiglia immunomodulanti - lenalidomide) in associazione a desametasone, per i casi più impegnativi di mieloma recidivato refrattario in pazienti adulti già sottoposti ad almeno due regimi terapeutici, comprendenti sia lenalidomide che bortezomib. La somministrazione avviene sempre in maniera continuativa, principio che vale per molti altri farmaci in sperimentazione nel mieloma.
Pur essendo una malattia difficile da guarire, il mieloma si riesce a controllare, ribadisce la dottoressa Gay, con remissioni a lungo termine, come avviene nella leucemia mieloide cronica con il Glivec. L'Ematologia italiana è all'avanguardia nel mondo, la scuola di Torino ha portato studi a questo congresso. Uno degli studi confronta due regimi di trattamento pre trapianto nei pazienti giovani utilizzando lenalidomide (Revlimid) in associazione al carfilzomib inibitore del proteasoma di seconda generazione, o insieme alla ciclofosfamide, studio italiano. I dati presentati riguardano prevalentemente la sicurezza, entrambi i regimi sono ben tollerati senza eccessi di tossicità.
Altro lavoro presentato dall'Università di Torino su lenalidomide attiene a uno studio europeo su 1.500 malati che si è occupato della malattia minima residua nel mieloma, cioè di quella piccola quota di anomalia che rimane nel midollo e che si riesce a eliminare solo in una quota percentuale di pazienti. Lo studio cooperativo tra centri europei si chiama MN02, condotto assieme a un gruppo olandese, e valuta diversi endpoint durante la fase di mantenimento. Scopo principale era la valutazione del ruolo del trapianto, dati già presentati dal professor Michele Cavo ad ASCO 2016 e alla scorsa edizione del congresso ASH (The American Society of Hematology) mostrando la superiorità del trapianto e un vantaggio di sopravvivenza con i nuovi farmaci nel mieloma.