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giovedì 12 giugno 2014

Mieloma multiplo, la sopravvivenza è raddoppiata

MILANO  - La buona notizia? "Per malattie come il mieloma multiplo si è passati dai 29 mesi di sopravvivenza registrati negli anni '90 ai 6-7 anni di oggi. Un dato destinato a migliorare ancora: per i pazienti che iniziano un trattamento in questo momento, è attesa una sopravvivenza anche di oltre 10 anni". Si riassumono in questi dati, presentati durante un incontro promosso da Celgene a Milano da Antonio Palumbo, Divisione di ematologia universitaria dell'ospedale Molinette-Città della salute e della scienza di Torino, le conquiste degli ematologi nella lotta ai tumori del sangue. Una categoria eterogenea, che diventa sempre più un 'puzzle' di diverse patologie. Ogni paziente, infatti, ha la sua malattia. E' questo lo scenario in cui si muovono i camici bianchi e i malati, perlopiù anziani, che si trovano a combattere contro una sindrome mielodisplastica o un mieloma multiplo.
Uno scenario in cui i farmaci orfani giocano un ruolo strategico: "Sviluppati per malattie rare con una frequenza non maggiore di 5 casi per 10 mila abitanti - spiega Fabrizio Pane, presidente della Società italiana di ematologia - sono una categoria riconosciuta sin dal 2000". Ma sul fronte dei tumori del sangue "progrediscono anche le conoscenze sulla patogenesi - precisa lo specialista - e sempre di più ci accorgiamo che quella che pensavamo fosse un'unica malattia è invece un insieme di malattie che danno un quadro clinico simile, ma beneficiano di farmaci diversi. Da qui rientra in campo la nacessità di avere dei prodotti che rientrano nella definizione di orfani".
"I farmaci orfani, che per defininzione sono caratterizzati da una non convenienza da un punto di vista commerciale per gli investimenti in sviluppo, in quanto destinati a piccoli gruppi di pazienti", per Pane "hanno bisogno di una serie di protezioni, rispetto a farmaci come quelli sviluppati per malattie più comuni. Ci sono una serie di iniziative a livello europeo che andrebbero probabilmente recepite in Italia: defiscalizzazioni, protezione di brevetto aggiuntive rispetto a quelle di un farmaco tradizionale".
In ematologia, riflettono gli esperti, oggi il motto è: diagnosi sempre più dettagliate per terapie sempre più mirate. Fanno scuola le sindromi mielodisplastiche, "categoria estremamente eterogenea - spiega Valeria Santini, professore associato di Ematologia all'università di Firenze - in cui la diagnosi è importantissima. Occorre scattare una fotografia precisa", un identikit 'molecolare' del paziente e della sua malattia, così da "scegliere un trattamento adeguato. Cosa che assicura un successo maggiore rispetto a una terapia che, senza basi cliniche per dimostrarlo, supponiamo funzioni".
"Un esempio clamoroso di questa selettività - prosegue la specialista - è l'uso di lenalidomide, un farmaco immunomodulante utilizzato nelle mielodisplasie resistenti all'eritropoietina, a basso rischio. Quasi 10 anni fa il primo studio in cui sono stati arruolati, quasi per caso, molti pazienti con un'anomalia cromosomica specifica: nell'80% dei casi i pazienti hanno risposto diventando indipendenti dalle trasfusioni. Se non sapessimo che esiste questa anomalia, non potremmo applicare una terapia così efficace".
Un tempo per queste patologie "c'era solo la terapia di supporto - ricorda Santini - Oggi vogliamo e possiamo prima di tutto migliorare la qualità di vita dei pazienti, e nei casi ad alto rischio prolungare la sopravvivenza e quando possibile guarire, con il trapianto se l'età lo consente". Parola d'ordine: vita più lunga e di qualità. "La sostenibilità delle terapie è un problema enorme che deve essere affrontato non dai singoli medici, ma dalle istituzioni - osserva ancora l'esperta - Deve essere affrontato il problema del costo dei farmaci, talvolta esagerato. E visto che il gruppo dei pazienti con sindromi mielodisplastiche aumenta nel tempo con l'aumentare dell'età media, questo è un problema non dilazionabile ulteriormente, che deve essere assolutamente affrontato e risolto".
Anche sul fronte del mieloma multiplo, lo scenario è "molto cambiato - sottolinea Mario Boccadoro, professore di Ematologia all'università degli Studi di Torino - Abbiamo strumenti nuovi e più efficaci, abbiamo imparato a combinarli, anche con la vecchia chemio, e i risultati sono estremamente buoni: abbiamo certamente raddoppiato la sopravvivenza negli ultimi 5-6 anni".
Un traguardo messo a segno "mantenendo il punto fondamentale: la qualità di vita dei pazienti. Ci sono dei trattamenti orali che vengono presi a casa", evidenzia l'esperto. "In Italia andiamo molto bene: c'è un numero di centri ematologici adeguato per prenderci cura di tutti i nostri pazienti", anche evitando migrazioni verso altre regioni. "Certo le risorse in sanità mancano - riflette Boccadoro - e potremmo fare ancora meglio". Per esempio "bisogna cercare di utilizzare i farmaci molto costosi al meglio: un paziente alla fine della propria storia non ha bisogno di un farmaco costoso che sarebbe tossico e non gli dà alcun vantaggio. Un farmaco costoso deve essere utilizzato alla diagnosi dai pazienti che ne hanno bisogno e così i risultati possono essere straordinari".
Anche sul fronte delle diagnosi "abbiamo da perfezionarci - precisa lo specialista - perché molte volte il mieloma è subdolo e si presenta in maniera non semplicissima da diagnosticare". Stesso discorso per alcune forme di mielodisplasie, "magari silenti in fase preclinica - spiega Giorgina Specchia, direttore dell'Unita operativa di Ematologia con trapianto al Policlinico di Bari - Occorre coinvolgere più attori in questo sforzo diagnostico, anche i medici di medicina generale, affinché individuino precocemente i pazienti da inviare ai centri specializzati per le indagini e l'inquadramento della malattia, prima che approdino a uno stadio severo".

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