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lunedì 20 febbraio 2017

Una "tripletta" contro il MIELOMA


L'aggiunta dell'inibitore del proteasoma bortezomib (Velcade) a lenalidomide e desametasone ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS) nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non in lista per un trapianto immediato di cellule staminali, nello studio SWOG S0777, pubblicato da poco su The Lancet.

"Le combinazioni di lenalidomide o bortezomib con farmaci convenzionali anti-mieloma multiplo hanno portato a un aumento delle percentuali di risposta complessiva e a ottimi risultati sia nel setting della malattia recidivata sia in prima linea" scrivono gli autori dello studio guidati da Brian GM Durie, del Cedars-Sinai Samuel Oschin Cancer Center di Los Angeles. Gli autori hanno quindi ipotizzato che la combinazione di questi due agenti potesse fornire risposte migliori e hanno testato quest’ipotesi nello studio SWOG S0777.

SWOG S0777 è un trial multicentrico di fase III, randomizzato e in aperto, in cui si è confrontata la combinazione di bortezomib, lenalidomide e desametasone con la doppietta lenalidomide e desametasone. I partecipanti erano affetti da mieloma multiplo non trattato in precedenza e avevano un performance status ECOG che andava da 0 a 3. Lo studio ha coinvolto in totale 462 pazienti (di 525 randomizzati) e il follow-up mediano è stato di 55 mesi.

L'endpoint primario era la PFS, che è risultata di 43 mesi nel braccio trattato con la tripletta contenente bortezomib e 30 mesi in quello trattato con i soli lenalidomide e desametasone (HR 0,712; IC al 96% 0,560-0,906; p = 0,0018). L’aggiunta di bortezomib ha anche migliorato la durata della risposta, che è stata di 52 mesi nel gruppo trattato con la tripletta contro 38 mesi con i soli lenalidomide e desametasone.

L’OS mediana è risultata di 75 mesi nel braccio trattato con bortezomib e 64 mesi nel braccio di controllo, (HR 0,709; IC al 95% 0,524-0,959; P = 0,0125) e il risultato è rimasto lo stesso quando sono stati esclusi dall'analisi i pazienti che hanno lasciato lo studio per la raccolta di cellule staminali o per il trapianto.

Gli eventi avversi neurologici di grado 3 o peggiore sono risultati più frequenti nel braccio trattato con bortezomib rispetto al braccio di controllo (33% controllo 11%; P < 0,0001). A questo riguardo, nella discussione gli autori osservano che se bortezomib fosse stato somministrato come lo è oggi, per via sottocutanea, gli effetti collaterali neuropatici probabilmente sarebbero stati evitati. Gli altri eventi avversi sono risultati generalmente ben bilanciati tra i due gruppi.

"La sopravvivenza globale mediana di 75 mesi ottenuta nel nostro studio con la combinazione rafforza il concetto generale che l’uso della tripletta per la terapia di induzione dia un valore aggiunto” scrivono gli autori.

In un editoriale di commento, Heinz Ludwig e Michel Delforge, rispettivamente del Wilhelminen Cancer Research Institute di Vienna e della clinica universitaria di Lovanio, in Belgio, scrivono che la combinazione di bortezomib con lenalidomide e desametasone "può essere ritenuta un regime efficace per il trattamento di prima linea dei pazienti idonei e non al trapianto".

Tuttavia, i due esperti osservano anche che questa combinazione è attualmente oggetto di confronto con un altro regime in uno studio di fase III attualmente in corso. In questo studio, bortezomib è sostituito da carfilzomib, un regime che ha portato ad alte percentuali di risposta e di negatività della minima malattia residua. Queste combinazioni, tuttavia, sono generalmente molto elevate.

"Dato che il mieloma multiplo non è una malattia uniforme, ma altamente eterogenea dal punto di vista molecolare, saranno sviluppati nuovi trattamenti che colpiscono in modo selettivo determinate proteine o modificano i pathway di segnalazione rilevanti per la patogenesi nei singoli pazienti" scrivono, aggiungendo di avere pochi dubbi che questo avrà ripercussioni sostanziali sugli outcome per le future generazioni di pazienti affetti da mieloma multiplo.

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