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venerdì 1 settembre 2017

Via libera in USA alla terapia genica per ora solo contro la leucemia linfoplastica

Esperimenti in corso su altri tumori del sangue, *MIELOMA compreso. Grandi risultati, prezzi vertiginosi



NEW YORG, 1 settembre- Via libera negli Usa ad una terapia genica che potrebbe rivoluzionare la cura di molti tumori. L'Fda ha approvato infatti il trattamento chiamato Car-T, di cui abbiamo già trattato su questo blog,che consiste nell'utilizzare le cellule del sistema immunitario del paziente ingegnerizzate, per ora contro la leucemia linfoblastica acuta resistente ai farmaci tradizionali, ma test sono in corso in tutto il mondo su diversi altri tumori. mieloma compreso
    L'approvazione della terapia, commercializzata da Novartis con il nome Kymriah, si basa sui risultati dei test su 68 pazienti, con la malattia che è scomparsa a un anno dall'infusione nell'83% dei casi. "Questa terapia è un passo significativo verso trattamenti personalizzati che possono avere un impatto tremendo sulle vite dei pazienti - spiega Carl June, esperto dell'università della Pennsylvania e pioniere del nuovo trattamento -. Stiamo creando la prossima ondata di terapie immunocellulari per il cancro,me non vediamo l'ora di usare la Car-T in altri tipi di tumori ematologici e non".
    L'azienda, spiega un comunicato, chiederà tra questo e il prossimo anno una serie di autorizzazioni in Usa e Ue per Kymriah. A rendere scettici gli esperti sul reale utilizzo c'è però il prezzo: la terapia in Usa costerà 475mila dollari a paziente.
   
Usa: ok Fda a terapia genica; oncologo, è prima in commercioROMA - Quella approvata dalla Food and drug administration (Fda) "è la prima terapia genica in commercio per un tumore. Finora c'erano state solo sperimentazioni". Così Carmine Pinto, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), commenta il via libera dell'agenzia americana alla terapia genica per la leucemia linfoblastica acuta, che potrebbe rivoluzionare la cura di anche di molti altri tumori. 

"E' la prima terapia oncologica di questo tipo registrata e in vendita. E' un passo molto importante", continua Pinto. La particolarità della terapia è che le cellule immunitarie del paziente, i linfociti, "vengono estratti, e modificati geneticamente attraverso un virus, per poi essere reimmessi nel malato e attivarsi contro il tumore", prosegue. I risultati mostrati dalla terapia sono "importanti, anche perchè per i pazienti con questo tipo di leucemia, che hanno recidive o per cui le altre terapie non funzionano, non ci sono altre opzioni terapeutiche".  

mercoledì 9 agosto 2017

MIELOMA, un progetto rende "pronte da usare" le cellule T

Maria Themeli
Benché rappresentino una grande speranza per i malati di mieloma multiplo, le terapie con cellule T adottive sono ancora ostacolate da metodi costosi, lunghi e personalizzati. Un progetto finanziato dall’UE si propone tuttavia di cambiare le cose con le sue soluzioni pronte da usare.
Attualmente ci sono tre approcci principali per ottenere cellule T terapeutiche: l’isolamento, espansione e reinfusione di linfociti infiltranti il tumore (TIL); la generazione ex vivo e l’espansione di linee di cellule T specifiche dell’antigene tumorale e l’ingegneria genetica di cellule T autologhe con recettori di cellule T specifiche dell’antigene tumorale (TCR) o recettori chimerici dell’antigene (CAR). Anche se la fattibilità e l’efficacia di questi metodi sono state provate in contesti clinici, tutti questi approcci devono essere personalizzati per il paziente prima di poter essere applicati.

Tenendo conto di ciò, il progetto CARIPSCTCELLS (Generation of safe and efficient, off-the-shelf, chimeric antigen receptor (CAR)-engineered T cells for broad application) ha sviluppato una tecnologia che permetterà di avere cellule T che bersagliano il mieloma multiplo in vitro, illimitate, sicure e ampiamente applicabili. La dottoressa Maria Themeli, coordinatrice del progetto, parla dei suoi risultati.

Perché le terapie con cellule T sono usate tanto raramente?

Le attuali strategie per ottenere cellule T terapeutiche hanno dei limiti. Il loro uso è circoscritto a istituti specializzati e a specifiche popolazioni di pazienti. L’isolamento e la manipolazione ex vivo di cellule autologhe richiede costose attrezzature specializzate, buone prassi di fabbricazione (BPF) e personale qualificato. In molti casi, l’isolamento e l’espansione delle cellule T autologhe sarebbe problematico o impossibile, per esempio in pazienti immunodepressi dopo la chemioterapia o in pazienti immuno-deficienti che presentano malignità.

Inoltre, la produzione di cellule T terapeutiche autologhe specifiche del cancro richiede tempi di lavorazione che possono essere critici per la salute del paziente. A volte il paziente muore prima di ricevere la terapia. Questo rende la produzione di cellule T terapeutiche un processo costoso e difficile da applicare ampiamente.

In che modo il suo progetto si propone di risolvere questi problemi? Come sono emerse queste soluzioni?

Abbiamo pensato che lo sviluppo di una terapia cellulare ampiamente applicabile, che sia stata prodotta, verificata dal punto di vista funzionale e conservata in anticipo e possa essere applicata al di là delle barriera dell’antigene leucocitario umano (HLA), migliorerebbe la costanza e la disponibilità riducendo allo stesso tempo il costo della terapia con cellule T adottive. Con in mente questo obiettivo, abbiamo studiato la fattibilità di una nuova strategia per generare linfotici T specifici dell’antigene, sicuri, “pronti all’uso”, illimitati con caratteristiche ottimizzate.

Proponiamo l’uso di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) come fonte di linfociti T. Queste cellule possono essere coltivate in laboratorio senza limiti e possono essere differenziate in linfociti T. Inoltre possono essere facilmente manipolate geneticamente in modo che il prodotto finale di cellule T possieda specifiche caratteristiche immunoterapeutiche desiderabili. Per esempio, possiamo fornire una specificità dell’antigene del cancro attraverso un CAR artificiale e cancellare l’espressione di molecole HLA per renderle istocompatibili.

Perché avete deciso di concentrarvi specificamente sul mieloma multiplo?

Il dipartimento di ematologia del VUmc Amsterdam è uno dei più grandi centri europei per la cura di malati di mieloma multiplo. Quello che ci interessa in questa malattia è che anche se sono stati fatti molti progressi nel ritardare il decorso della malattia, rimane comunque incurabile. Quindi la nostra ricerca si sta occupando di trovare nuove terapie potenzialmente curative. A questo fine, abbiamo sviluppato e valutato in fase pre-clinica l’uso di cellule che persagliano CD38 e CAR-T per la cura del mieloma multiplo.

In che modo il sistema CRISPR/Cas9 ha giovato alla vostra ricerca?
La tecnologia CRISPR/Cas9 ha rivoluzionato il settore della terapia genetica negli ultimi anni. Con questa tecnologia, modificare il genoma è diventato più facile e più sicuro, perché permette un editing genetico altamente specifico. Usiamo questo sistema per modificare geneticamente le cellule nella fase iPSC e ottenere caratteristiche specifiche ottimizzate quando si differenziano in cellue T terapeutiche.

Quali sono secondo lei i più importanti risultati ottenuti dal progetto?

Siamo riusciti a generare iPSC geneticamente modificate, che danno origine a cellule T “pronte da usare” ampiamente applicabili provviste di CAR anti-mieloma e che hanno una funzione anti-mieloma senza avere limiti di istocompatibilità.

Quale sperate sarà l’impatto a lungo termine sulla cura del mieloma multiplo?
Lo sviluppo di strumenti immunoterapeutici applicabili “pronti da usare” innalzerà l’immunoterapia da una base individuale e permetterà di avere a disposizione strumenti immunoterapeutici controllati, verificati e sicuri per un’ampia popolazione di pazienti.

Il mieloma multiplo è la seconda malignità ematologica più comune. Quindi un’immunoterapia con cellule T adottive ampiamente applicabile gioverebbe a molti pazienti. La cosa più importante però è che questo progetto getterà le fondamenta per una nuova strategia per l’applicazione diffusa di cellule T derivate da iPSC, non solo per il mieloma multiplo, ma anche per tutte le terapie con cellule T a base di CAR, perché i risultati ottenuti dai nostri studi potrebbero essere trasportati anche ad altre malignità.

Quali sono i vostri piani per un eventuale follow-up?

Vogliamo continuare a perseguire l’obiettivo di generare potenti cellule T terapeutiche a partire da iPSC. Ci concentreremo sull’ulteriore miglioramento delle proprietà terapeutiche delle cellule T generate da iPSC umane influenzando e raffinando i meccanismi della differenziazione in vitro della determinazione fenotipica e migliorando la loro persistenza e la funzione di effettore.

mercoledì 2 agosto 2017

TORINO, scoperta una nuova molecola per i trattamento della osteoporosi

TORINO, 2 agosto -  Scoperta di una nuova molecola con notevoli potenzialità terapeutiche nel trattamento dell'osteoporosi e delle metastasi ossee ha permesso al gruppo di ricerca afferente al reparto di Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso universitario della Città della Salute di Torino (diretto dal professor Giancarlo Isaia) di vincere il primo Premio ad un concorso indetto da Unicredit nell’ambito del progetto Unicredit Start Lab, volto a selezionare tra le Aziende di recente costituzione a livello nazionale quelle con le maggiori caratteristiche di innovazione, originalità e ricadute pratiche, a cui viene data la possibilità di partecipare ad un processo di accelerazione e ad un corso di formazione specifico.
La professoressa Patrizia D'Amelio (Ricercatore della Geriatria torinese e del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino) ha presentato, a nome della società Novaicos S.r.L, a cui partecipa insieme ai ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale (prof. Umberto Dianzani, dott. Luca Gigliotti e dott.ssa Elena Boggio), una nuova molecola (ICOS-Fc), della quale è stata depositata domanda di brevetto nazionale ed internazionale. Lo scorso anno è stato dimostrato dallo stesso gruppo di ricercatori, che hanno poi dato vita a Novaicos, che questa molecola è in grado di modulare il metabolismo scheletrico, in quanto capace di attivare un recettore espresso a livello degli osteoclasti (le cellule che distruggono l’osso). In particolare è stato evidenziato in vitro ed in vivo nel topo da esperimento che la somministrazione di ICOS-Fc, stimolando questo recettore, inibisce selettivamente il danneggiamento dello scheletro in modelli di osteoporosi da carenza estrogenica e da infiammazione cronica e riduce anche la formazione delle metastasi ossee, senza sopprimere le cellule deputate a tale compito, consentendo così la normale formazione di nuovo osso.
Il progetto di sviluppo di ICOS-Fc è stato presentato dalla prof.ssa D’Amelio ad una qualificata commissione valutativa, composta da prestigiosi esponenti dell’industria nazionale nel settore biomedico, ed è risultato vincitore su oltre 700 Aziende partecipanti. Sono state apprezzate le notevoli potenzialità terapeutiche della nuova molecola identificata dai gruppi di ricerca delle Università Piemontesi nel trattamento dell’osteoporosi ed anche nel controllo delle lesioni ossee secondarie a tumori solidi o a mieloma multiplo. 
Questo importante riconoscimento premia un’attività scientifica di elevato livello che, promossa dal gruppo coordinato dal prof. Giancarlo Isaia, Ordinario di Geriatria dell’Università di Torino, si è sviluppata, anche attraverso adeguate cooperazioni nazionali ed internazionali, ad un livello di assoluta eccellenza, producendo benefici effetti non solo sulla salute e sulla qualità di vita dei pazienti, ma anche importanti ricadute occupazionali ed economiche a livello territoriale.

venerdì 7 luglio 2017

Il DARATUMUMAB, killer del MIELOMA, è rimborsabile in ITALIA

ROMA, 7 luglio - Un 'serial killer' addestrato a colpire un solo bersaglio: le cellule del mieloma. E' rimborsabile in Italia il daratumumab, farmaco targato Janssen che offre una nuova speranza ai pazienti con mieloma multiplo recidivato refrattario, contrastando questa patologia rara con un meccanismo d'azione innovativo. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è del 3 luglio.
Daratumumab - ricordano dalla filiale italiana del gruppo Usa - è il primo di una nuova classe di anticorpi monoclonali (gli anti CD-38) che, grazie a un meccanismo d'azione completamente nuovo, è in grado sia di stimolare il sistema immunitario a contrastare il tumore sia di attaccare direttamente le cellule del mieloma multiplo. E' anche il primo e unico anticorpo monoclonale per il mieloma a essersi dimostrato efficace anche in monoterapia. Daratumumab permette ai pazienti diventati resistenti a tutte le classi di farmaci disponibili di prolungare la sopravvivenza di 3 o 4 volte.
"Siamo orgogliosi di poter offrire speranza e un'opzione terapeutica valida a pazienti che sino a oggi non l'avevano - afferma Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia - Daratumumab è stato definito un 'killer seriale', ma di fatto è un killer buono in grado sia di stimolare il sistema immunitario sia di attaccare e uccidere solo le cellule cattive, consentendo ai pazienti di aumentare non solo le aspettative, ma anche la qualità della loro vita in modo impensabile sino a ieri".

domenica 2 luglio 2017

MIELOMA, Franco Grillini e la malattia che lo ha colpito

BOLOGNA - Franco Grillini si è perso un solo Pride, quando nel 2006 si ruppe una gamba. Oggi ci sarà e non è un fatto scontato. Da mesi lotta contro un tumore che lo ha debilitato. Lui stesso su Facebook ha annunciato la sua presenza al corteo bolognese. «Ci sarò in carrozzina nonostante la malattia, l’orgoglio vince su tutto», ha scritto il fondatore del movimento omosessuale italiano. 
Come sta?
«Mi è capitato un mieloma multiplo, il più cattivo. Ma ho deciso di non nascondere la mia malattia. Non ci si può vergognare di avere un tumore. Né avere sensi di colpa. Questo senso di colpa lo conosco bene, quando all’inizio delle nostre battaglie lottavamo contro l’Aids e ai tempi non c’era neppure una terapia. Per questo voglio andare al Pride a viso scoperto, con tutta la fatica che ne consegue, perché andare ad un corteo in carrozzina non è facilissimo. A piedi non ce la faccio, ho poca autonomia. Un mio amico mi verrà a prendere con il suo furgone. Manifesterò al fianco di una signora, una mamma di 85 anni, pure lei su una carrozzina». 
Come passa le giornate? 
«Tra cure ed esami. Poi, con le energie che mi rimangono, mi dedico al movimento. Nonostante tutto mi do da fare. Ad aprile in Sala Rossa ho celebrato la mia prima unione civile, a inizio giugno ho fatto un comizio a Reggio Emilia sotto il sole, con il mio bastone, perché ora sono molto magro. Ero corpulento, pesavo 110 chili, adesso 60. Mi sono dimezzato. Esteticamente sto meglio così. Insomma, cure e impegno politico. Farò un comizio anche dalla bara».
Il suo umorismo è rimasto intatto. 
«E devo dire che in questi mesi ho anche conosciuto tante persone che non rivedevo da anni, ricevo un affetto da tutta Italia inaspettato». 
Esserci fisicamente al Pride, perché dopo tanti anni è così importante? 
«È una giornata che consente a migliaia di persone di ribadire una richiesta di uguaglianza. Poi quest’anno è particolarmente importante. In Germania hanno votato i matrimoni ugualitari in 38 minuti. È arrivato il momento di chiedere alla sinistra italiana di superare tutte le sue ambiguità. E lo dico anche a Pisapia, che tra i suoi ha personaggi come Tabacci che rilascia dichiarazioni che c’entrano poco con la sinistra. E sono contento che Merola abbia scelto di essere al Pride, gli fa onore». 
Cosa significa essere omosessuale oggi rispetto a quando era giovane? 
«Prima era molto più difficile fare coming out. Dopo la nostra rivoluzione gentile non lo è più. Oggi i ragazzi riescono a farlo a 16, io ne avevo 27. E fu molto faticoso». 
Chi fu il primo a saperlo? 
«Lo dissi agli amici, poi a mia sorella e più tardi ai miei genitori. Fu molto divertente. Era il 1985, il movimento stava cercando di organizzare un festival sul cinema gay a Riccione. Il sindaco comunista prima disse sì poi cambiò idea per le proteste. Un’insurrezione machista di chi gli diceva che le svedesi non sarebbero più andate a Riccione, che cambiò presto il nome in Ricchione, così come viale Ceccarini diventò Checcarini. La Rai mi chiamò per un’intervista alla radio, andò in onda alle otto del mattino. Nel pomeriggio mia mamma mi chiama e dice: “Ti abbiamo sentito, ma che bella voce che hai. Ma dimmi un po’, tu cosa c’entri con gli omosessuali?”. Me ne occupo, le risposi. E lei, una donna operaia con la seconda elementare, aggiunse solo: “Se tu sei felice, noi siamo contenti”». 
L’orgoglio di manifestare è rimasto lo stesso o è cambiato? 
«Ora è diventato normale manifestare, prima no. Il Pride quest’anno si terrà in 24 città. Ma quale partito oggi è in grado di portare così tanta gente in piazza? È il nostro Primo maggio, vorrei diventasse una festa nazionale. Così come spero ancora che sul Cassero di Porta Saragozza, la nostra prima sede, prima o poi qualcuno possa metterci una targa per ricordare a tutti cosa fu quel luogo».

venerdì 30 giugno 2017

#MIELOMA, utilizzate a Torino protesi vertebrali al carbonio per le vertebre dorsali affette dalla malattia


TORINO, 30 giugno - Utilizzate per la prima volta in Piemonte protesi vertebrali d’avanguardia al carbonio che hanno permesso di liberare un paziente dal busto dorso-lombare permanente. È il caso di un medico-paziente sessantenne, affetto da interessamento vertebrale ad opera di un mieloma multiplo trattato presso la Neurochirurgia del San Giovanni Bosco di Torino, diretta dal dott. Federico Griva. “L’intervento cui è stato sottoposto ha permesso di stabilizzare le vertebre dorsali affette dalla malattia e andate incontro a una grave cifotizzazione – spiega il Griva – e per la prima volta in Piemonte, in prova strumentaria per la particolarità caso, abbiamo posizionato un nuovo sistema protesico in tecnopolimero PEEK e carbonio, che non interferisce con i futuri controlli radiologici che saranno necessari per il follow-up del mieloma e non interferisce neppure con i trattamenti radioterapici.”
Durante l’intervento, durato 3 ore, la colonna vertebrale del paziente è stata stabilizzata con un ponte che unifica 6 vertebre, comprendendo quelle malate tra le estremità sane e utilizzando 12 viti al carbonio in sede da D2 a D8 (area scapolare). Il nuovo sistema protesico – simile nell’ancoraggio alle precedenti protesi metalliche e dunque in grado di agevolare i chirurghi con la pratica operatoria abituale – impiega un tecnopolimero ad alta percentuale di carbonio che, a differenza di quanto si è abitualmente osservato con i sistemi protesici tradizionali, non provoca artefatti sui controlli TC e RM. “I malati con tumore vertebrale – commenta Griva – devono fare controlli nel tempo e i campi magnetici interferiscono con i metalli; dunque questa nuova soluzione presenta indubbi vantaggi nella cura dei pazienti affetti da malattie oncologiche vertebrali e, in casi selezionati, diventa la prima opzione da proporre al paziente.”
Il paziente è stato dimesso in ottime condizioni neurologiche ed è potuto ritornare a casa con un normale volo dopo soli 4 giorni di degenza. “Il rinnovamento e lo sviluppo delle tecnologie costituisce un aspetto fondamentale, accanto alle competenze professionali e organizzative, per incrementare e perfezionare la qualità servizi sanitari”, commenta il dott. Valerio Fabio Alberti, Direttore Generale ASL Città di Torino. La Neurochirurgia del San Giovani Bosco effettua ogni anno 700 interventi neurochirurgici, concentrati in un’unica struttura di riferimento HUB, sia per le urgenze sia per l’elezione, per l’intera ASL Città di Torino, Ivrea, Chivasso e Ciriè.

domenica 25 giugno 2017

L'ELOTUZUMAB ha confermato la sua efficacia nel lungo termine

La molecola immuno-oncologica elotuzumab ha confermato la propria efficacia nel lungo termine nel trattamento del mieloma multiplo. È il dato principale di uno studio di fase III presentato nel corso del congresso annuale dell’European Hematology Association. 
Elotuzumab ha ricevuto nel maggio 2016 l’approvazione dall’agenzia regolatoria europea (EMA) in base ai risultati dello studio di fase III (ELOQUENT-2) che ha coinvolto 646 pazienti che hanno ricevuto almeno una precedente terapia ed è disponibile in Italia da aprile 2017. 
Al Congresso di Madrid sono presentati i dati aggiornati a 4 anni di questo studio. «L’Italia ha offerto un contributo importante allo studio ELOQUENT-2», ha illustrato il direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seràgnoli Università degli Studi-Policlinico S. Orsola-Malpighi Bologna Michele Cavo. «Il follow up a 4 anni conferma l’efficacia di elotuzumab nel mantenere la risposta a lungo termine con un buon profilo di tollerabilità. Il 21% dei pazienti trattati con questo nuovo farmaco immuno-oncologico in combinazione con lenalidomide e desametasone (braccio sperimentale) era libero da progressione di malattia o morte rispetto al 14% dei pazienti nel braccio di controllo (trattati con lenalidomide e desametasone), con un incremento relativo del 50% della sopravvivenza libera da progressione». 
Per i pazienti trattati nel braccio con elotuzumab si è mantenuta la riduzione del 29% del rischio di progressione o morte rispetto al braccio di controllo (in linea con i dati presentati a 2 e 3 anni di follow up). «Questo beneficio è costante in tutti i sottogruppi di pazienti, compresi quelli a prognosi sfavorevole», ha aggiunto Cavo. «Inoltre a quattro anni circa il doppio dei pazienti nel braccio sperimentale (17%) è rimasto in trattamento rispetto al braccio di controllo (9%). E la durata mediana della risposta è stata di 21 mesi con la molecola immuno-oncologica rispetto a 16,8 nel braccio di controllo». 
Ogni anno in Italia sono registrate più di 4.400 nuove diagnosi di mieloma multiplo, un tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo. Nonostante i recenti progressi nel trattamento della malattia, soltanto il 51% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi. 
«Fino ai due terzi dei malati presenta dolore osseo, in particolare alla schiena, al momento della diagnosi e circa il 75% mostra fratture ai raggi X», ha spiegato Mario Boccadoro, direttore del dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Città della Salute e della Scienza di Torino. «Sono sintomi debilitanti con un impatto significativo sulla qualità di vita: spesso per queste persone diventa difficile camminare, fare le scale e talvolta non possono più guidare l’automobile. Altro sintomo è l’insufficienza renale che si manifesta alla diagnosi nel 20% dei casi e compare durante l’evoluzione della malattia in almeno il 50% dei pazienti. Molti malati evidenziano cicliche remissioni e recidive, durante le quali sospendono il trattamento per un breve periodo per eventualmente riprenderlo. L’immuno-oncologia, che rinforza il sistema immunitario contro il cancro, ha già dimostrato di essere efficace nel trattamento dei tumori solidi, a partire dal melanoma fino a neoplasie più frequenti come quelle del polmone e del rene in fase avanzata. E oggi sta mostrando risultati importanti anche nei tumori del sangue, in particolare nel mieloma multiplo. Il del beneficio a lungo termine di quest’arma innovativa potrebbe portarci all’obiettivo della cronicizzazione, come già avviene ad esempio in patologie come il diabete».

venerdì 9 giugno 2017

LENALIDOMIDE, la chiave per la cronicizzazione del MIELOMA


CHICAGO, 9 giugno - Mieloma multiplo, una scommessa aperta. Le ultime dal congresso dell'American Society of Clinical Oncology (Asco) aprono scenari di speranza. La malattia rappresenta il 15% di tutti i tumori del midollo (il 18% dei pazienti è più giovane di 50 anni al momento della diagnosi). I farmaci oggi arrivano a bloccare le lancette dell'orologio, rallentando o fermando la spinta verso l'aggravamento. Parliamo di lenalidomide in prima linea, asse portante del trattamento del mieloma, con la dottoressa Francesca Gay, dell'Università di Torino, capofila di un centro sul trattamento del mieloma tra i più quotati al mondo. La patologia (moltiplicazione incontrollata delle plasmacellule che affollano il sangue) provoca dolore scheletrico, indebolimento osseo, danneggia il rene, induce debolezza e anemia.
Nel mieloma si è passati a un trattamento continuativo per via orale ben tollerato, spiega la specialista, con la prospettiva di tenere sotto controllo per lunghi anni la malattia con un'ottima qualità di vita. In genere la terapia prevede per tutti una prima fase più aggressiva. In un tempo successivo proseguendo le cure si instaura la tendenza a cronicizzare, sia nei pazienti anziani che in quelli più giovani. Negli anziani, in condizioni fragili e complesse che non possono sopportare il trapianto, la terapia lenalidomide cortisone, approvata recentemente, va portata avanti senza interruzioni. Nel giovane si prospetta preferibilmente anche il trapianto con cellule staminali, come giro di boa, a seguire le cure di mantenimento, da proseguire a domicilio, con controlli ogni due mesi e ripresa delle normali attività. Da citare come effetti collaterali, un eventuale lieve risentimento gastrointestinale o arrossamenti della pelle, in genere ben gestibili con riduzione del dosaggio, senza mai sospendere le somministrazioni. Due anni fa l'Aifa aveva approvato la rimborsabilità di pomalidomide (altra preziosa risorsa recente, parte della famiglia immunomodulanti - lenalidomide) in associazione a desametasone, per i casi più impegnativi di mieloma recidivato refrattario in pazienti adulti già sottoposti ad almeno due regimi terapeutici, comprendenti sia lenalidomide che bortezomib. La somministrazione avviene sempre in maniera continuativa, principio che vale per molti altri farmaci in sperimentazione nel mieloma.
Pur essendo una malattia difficile da guarire, il mieloma si riesce a controllare, ribadisce la dottoressa Gay, con remissioni a lungo termine, come avviene nella leucemia mieloide cronica con il Glivec. L'Ematologia italiana è all'avanguardia nel mondo, la scuola di Torino ha portato studi a questo congresso. Uno degli studi confronta due regimi di trattamento pre trapianto nei pazienti giovani utilizzando lenalidomide (Revlimid) in associazione al carfilzomib inibitore del proteasoma di seconda generazione, o insieme alla ciclofosfamide, studio italiano. I dati presentati riguardano prevalentemente la sicurezza, entrambi i regimi sono ben tollerati senza eccessi di tossicità.
Altro lavoro presentato dall'Università di Torino su lenalidomide attiene a uno studio europeo su 1.500 malati che si è occupato della malattia minima residua nel mieloma, cioè di quella piccola quota di anomalia che rimane nel midollo e che si riesce a eliminare solo in una quota percentuale di pazienti. Lo studio cooperativo tra centri europei si chiama MN02, condotto assieme a un gruppo olandese, e valuta diversi endpoint durante la fase di mantenimento. Scopo principale era la valutazione del ruolo del trapianto, dati già presentati dal professor Michele Cavo ad ASCO 2016 e alla scorsa edizione del congresso ASH (The American Society of Hematology) mostrando la superiorità del trapianto e un vantaggio di sopravvivenza con i nuovi farmaci nel mieloma.

domenica 30 aprile 2017

MIELOMA, la commissione europea concede la piena autorizzazione per il DARATUMUMAB


Janssen-Cilag International NV ("Janssen") ha oggi annunciato che la Commissione europea (CE) ha concesso l'approvazione per l'utilizzo di DARZALEX (daratumumab) in combinazione con lenalidomide e dexamethasone, o bortezomib (VELCADE®) e dexamethasone, per il trattamento dei pazienti adulti affetti da mieloma multiplo (MM) già sottoposti ad almeno una terapia precedente.
La decisione della CE si basa sui dati dello studio clinico di fase 3 POLLUX (MMY3003), presentato nel corso della sessione plenaria ad ASCO 2016 e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel mese di agosto 2016; e sullo studio clinico di fase 3 CASTOR (MMY3004), presentato nel corso della sessione Presidenziale all'EHA 2016 e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel mese di ottobre 2016. L'aggiunta di daratumumab ha significativamente ridotto il rischio di progressione della malattia o decesso, del 63% nello studio clinico POLLUX e del 61% nello studio clinico CASTOR, in combinazione con regimi terapeutici standard (p<0,001 in entrambi gli studi).1,2
Il profilo di sicurezza di daratumumab in combinazione con i regimi terapeutici standard era coerente con i dati degli studi su daratumumab in monoterapia e con i dati sui regimi terapeutici standard. In combinazione con lenalidomide e dexamethasone (POLLUX), gli eventi avversi più comuni di grado 3 o 4 verificatisi nel corso del trattamento sono stati neutropenia (51,9%), trombocitopenia (12,7%) e anemia (12,4%). Reazioni correlate all'infusione associate a daratumumab si sono verificate nel 47,7% dei pazienti ed erano per lo più di grado 1 o 2.1 In combinazione con bortezomib e dexamethasone (CASTOR), tre degli eventi avversi di grado 3 o 4 più comuni sono stati trombocitopenia (45,3%), anemia (14,4%) e neutropenia (12,8%).2 Le reazioni correlate all'infusione associate a daratumumab sono state riferite nel 45,3% dei pazienti, ed erano per lo più di grado 1 o 2 (grado 3 nell 8,6% dei pazienti) e nel 98,2% di questi pazienti si sono verificate nel corso della prima infusione.2
"I dati dei due studi CASTOR e POLLUX hanno dimostrato una migliore sopravvivenza libera da progressione e una riduzione della progressione della malattia o dei decessi rispetto allo standard di cura", ha dichiarato il dottor Torben Plesner, del Vejle Hospital di Vejle, in Danimarca, ricercatore dello studio clinico su daratumumab. "Complessivamente, questi risultati dimostrano che daratumumab, in combinazione con un inibitore del proteasoma o un agende immunomodulante, presenta il potenziale per offrire benefici clinici ai pazienti dopo una o più linee terapiche".
"Questa approvazione rappresenta un passo importante per i malati di mieloma multiplo della nostra regione e offre ad alcuni di essi una nuova opzione di trattamento. I dati osservati a tutt'oggi per daratumumab sono incoraggianti e continueremo a studiare i suoi effetti potenziali", è stato il commento della Dottoressa Catherine Taylor, responsabile dell'area terapeutica ematologica per Janssen Europe, Middle East and Africa (EMEA).
L'autorizzazione iniziale all'immissione in commercio è stata concessa nel mese di maggio 2016 per daratumumab in monoterapia per il trattamento dei pazienti pazienti adulti affetti da mieloma multiplo recidivato e refrattario, precedentemente sottoposti a una terapia basata su un inibitore del proteasoma e su un agente immunomodulante con dimostrata progressione della malattia rispetto all'ultimo trattamento somministrato. Questa autorizzazione aveva carattere condizionale e richiedeva la presentazione, da parte di Janssen, di ulteriori dati degli studi clinici MMY3003 (POLLUX) e MMY3004 (CASTOR). Con la presentazione di questi risultati, la CE reputa che i requisiti specifici associati all'autorizzazione all'immissione in commercio condizionale siano stati soddisfatti e acconsente quindi al passaggio da autorizzazione condizionale a piena autorizzazione.

sabato 22 aprile 2017

Il MIELOMA è come un olivo nodoso e contorto

Dal CORRIERE DELLA SERA

Proviamo a pensare ai tumori del sangue come fossero alberi, suggerisce Gareth Morgan, uno dei più noti ematologi inglesi: la leucemia linfoblastica acuta, per esempio, è come un palma con un ciuffo di rami in cima, il mieloma multiplo è paragonabile, invece, a un ulivo nodoso e contorto, con i rami che partono da ogni parte del tronco, si intrecciano fra di loro e sono ricchi di foglie. La leucemia è un tumore dei globuli bianchi, linfociti in particolare, che colpisce soprattutto i bambini, e in una certa percentuale di casi è caratterizzata da una mutazione genetica precisa, quella del cosiddetto cromosoma Filadelfia: è stata uno dei primi tumori trattati con un innovativo farmaco a bersaglio molecolare, l’imatinib, diretto cioè contro una proteina prodotta da un gene anomalo. 
Eccesso di mutazioni
Il mieloma è una neoplasia che colpisce le plasmacellule (normalmente producono anticorpi, ma quando si moltiplicano in maniera incontrollata producono proteine anomale che si possono rilevare nel sangue), è il tumore più “mutato” che esiste: il numero di alterazioni che si rincorrono nelle sue cellule durante la sua evoluzione sono infinite, il problema sta nel capire quali sono importanti e quali no. «Non ci siamo ancora arrivati – ha commentato Mario Boccadoro, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Città della Salute e della Scienza di Torino, in occasione del 16th International Myeloma Workshop che si è tenuto a New Delhi – ma l’obiettivo è ovvio: valutare le mutazioni e trovare la terapia migliore per ogni singolo paziente. Oggi con i nuovi farmaci immunologici qualche passo avanti si sta facendo». L’Istituto diretto da Gareth Morgan ha dato vita al Multiple Myeloma Genome Project che sta raccogliendo i dati di un gran numero di pazienti, relativi sia alla morfologia del tumore sia alla sua evoluzione clinica: siamo nel campo dei cosiddetti Big Data che, se ben interpretati, potranno essere di aiuto per trovare le migliori combinazioni di farmaci da usare in terapia (hanno collaborato al progetto anche due italiani, Michele Cavo e Annamaria Brioli dell’Istituto di Ematologia Seragnoli all’Università di Bologna). Già oggi l’approccio terapeutico a un paziente con mieloma è in qualche modo personalizzato, ma soltanto in base all’età. «Nei pazienti più anziani spesso affetti da comorbidità (che presentano cioè altre malattie) – precisa Boccadoro - occorre scegliere con molta attenzione i farmaci per evitare tossicità. Di solito si ricorre a chemioterapici a basse dosi associati più o meno alla radioterapia». Nei pazienti più giovani (con meno di 70 anni), dopo il trattamento con i farmaci, si percorre più spesso la strada del trapianto di cellule staminali (dopo radioterapia). 
Farmaci mirati
Ma intanto si sono fatti strada anche i farmaci biologici (diversi dai chemioterapici). Attualmente sono due le terapie standard per il mieloma multiplo. Una si basa sulla somministrazione di bortezomib (un farmaco biologico che impedisce alla cellula tumorale di smaltire i rifiuti e quindi la fa morire “soffocata”) associato a un cortisonico, il desametasone. L’altro sulla lenalidomide (derivata dalla tristemente famosa talidomide, che in passato si è resa responsabile di malformazioni nei feti), sempre associata a un cortisonico («Ancora non sappiamo come funziona la lenalidomide”- ammette Boccadoro – ma funziona»). Ma a queste terapie si sta ora cercando di associare nuovi farmaci della categoria degli immunoterapici (capaci cioè di stimolare il sistema immunitario a difendersi dal tumore) soprattutto per il trattamento delle recidive della malattia, che non sono infrequenti.
Nuova molecola
«Uno di questi immunoterapici è l’elotuzumab – aggiunge Boccadoro – un farmaco che stimola il sistema immunitario ad aggredire il tumore. È diretto contro Slam7, una proteina di superficie presente sia sulle cellule del mieloma che su quelle dei linfociti cosiddetti natural killer, capaci appunto di distruggere le cellule tumorali». Il farmaco ha già ricevuto nel maggio scorso l’approvazione dell’agenzia regolatoria europea (Ema) in base ai risultati di uno studio (Eloquent-2, pubblicato sul New England Journal of Medicine) su 646 pazienti che avevano già ricevuto almeno una precedente terapia: la molecola, in combinazione con lenalidomide e desametazone, ha mostrato una riduzione del 30 per cento del rischio di progressione della malattia o di morte e un aumento relativo del 52 per cento del tasso di sopravvivenza libera da progressione a due anni. In altre parole: in molti casi la malattia si arresta e non evolve negativamente. È prevista nei prossimi mesi la disponibilità della molecola anche in Italia. Ci sono altri due farmaci all’orizzonte da associare alle terapie standard, il carfilzomib (anche questo impedisce la distruzione dei rifiuti da parte delle cellule tumorali e ne provoca la morte) e il daratumumab (agisce stimolando il sistema immunitario a difendersi dal tumore) che sono oggetto di verifiche negli studi clinici. 
I sintomi e la diagnosi difficile
Ma quante sono le persone interessate a queste ricerche? Ogni anno in Italia si registrano circa 4.400 nuove diagnosi di mieloma multiplo (nel 2016 ne sono state stimate 2315 fra gli uomini e 2.098 fra le donne. La sopravvivenza globale a un anno è del 76 per cento, dopo un quinquennio scende al 42 per cento. L’incidenza aumenta con l’età: è più frequente negli over 65 (il 38 per cento è over 70), solo il 2 per cento dei pazienti è under 40. Ma come si manifesta il mieloma? Il 75 per cento dei pazienti colpiti da mieloma multiplo, all’esordio della malattia, avverte forte dolore alle ossa, in particolare alla schiena. Sono sintomi debilitanti con un impatto significativo sulla qualità della vita: spesso per queste persone diventa difficile camminare, fare le scale e talvolta non possono più guidare l’automobile. È quindi alto il rischio di confondere questo tumore del sangue con altre patologie comuni e meno gravi. «In un terzo dei casi – precisa Boccadoro – la diagnosi è casuale, dopo esami del sangue di routine». La spia del tumore è rappresentata dalla presenza di picchi di immunoglubuline anomale (anticorpi) in quella che nei referti di laboratorio si chiama “elettroforesi delle proteine”.  


mercoledì 29 marzo 2017

L'EMA raccomanda l'ampliamento dell'autorizzazione al DARATUMUMAB

Il Comitato scientifico ( CHMP ) dell'Agenzia europea per i medicinali ( EMA ) ha raccomandato l'ampliamento della autorizzazione all'immissione in commercio già esistente per Darzalex ( Daratumumab ), in combinazione con Lenalidomide e Desametasone, oppure Bortezomib e Desametasone, per il trattamento dei pazienti adulti con mieloma multiplo già precedentemente sottoposti ad almeno una terapia.

Il parere positivo del CHMP si basa su un riesame dei dati dello studio clinico di fase 3 MMY3003 ( POLLUX ), pubblicato sul The New England Journal of Medicine ( NEJM 2016 ), e sul riesame dei dati dello studio clinico di fase 3 MMY3004 ( CASTOR ), anch'esso pubblicato sul The New England Journal of Medicine ( 2016 ).

Il profilo di sicurezza di Daratumumab in combinazione con i trattamenti di cura standard è risultato in linea con gli studi in monoterapia. 
In combinazione con Lenalidomide e Desametasone ( POLLUX ), gli eventi avversi più comuni di grado 3 o 4 nel corso del trattamento sono stati: neutropenia ( 51.9% ), trombocitopenia ( 12.7% ) e anemia ( 12.4% ). Nel 47.7% dei pazienti si sono verificate reazioni correlate all'infusione associate al trattamento con Daratumumab, soprattutto di grado 1 o 2. 
In combinazione con Bortezomib e Desametasone ( CASTOR ), tre degli eventi avversi riportati più comuni di grado 3 o 4 erano trombocitopenia ( 45.3% ), anemia ( 14.4% ) e neutropenia ( 12.8% ). Le reazioni correlate all'infusione associate al trattamento con Daratumumab, riportate nel 45.3% dei pazienti, erano per lo più di grado 1 o 2 ( grado 3 nell’8.6% dei pazienti ); nel 98.2% di questi pazienti si sono verificate nel corso della prima infusione.

Daratumumab in precedenza aveva ricevuto l'approvazione condizionale da parte della Commissione europea ( CE ) nel mese di maggio 2016, come indicazione sotto forma di monoterapia per il trattamento dei pazienti adulti con mieloma multiplo recidivato o refrattario, precedentemente trattati con un inibitore del proteasoma e un farmaco immunomodulante, e con progressione della malattia nel corso dell'ultima terapia.
Daratumumab è stato il primo anticorpo monoclonale anti-CD38 approvato per l'uso in tutto il mondo.
Praticamente tutti i pazienti con mieloma multiplo sono soggetti a ricadute che solitamente diventano più aggressive. 

venerdì 24 marzo 2017

Arrivano dalla CINA nuove buone notizie sul KYPROLIS (e sulle cure del MIELOMA)


Cure che contenevano il carfilzomib inibitore del proteasoma (Kyprolis) hanno portato a risposte cliniche impressionanti quando usato come trattamento di prima linea per il mieloma multiplo, e le risposte apparivano notevolmente migliorate se accompagnate da trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) e terapia di consolidamento: lo indica un'analisi aggregata di 13 studi.
Nell'analisi di 704 pazienti trattati con una combinazione contenente carfilzomib, gli investigatori hanno documentato un tasso di risposta completa (CR) del 21%, una risposta parziale molto buona (VGPR) con tasso del 68%, e un tasso di risposta globale (ORR) del 94% .
L'entità delle risposte è anche aumentata con un crescente numero di cicli così come dopo il trapianto e il consolidamento, come Zhixin Sheng, MD, dell'Ospedale del Popolo di Weifang in Cina, e colleghi hanno riportato nel Journal of Haematology .
"I dati supportano la conclusione che combinazioni contenenti Carfilzomib potrebbero produrre benefici clinici nei pazienti con nuova diagnosi di mieloma multiplo. Il tasso di risposta alta qualità potrebbe essere ulteriormente migliorata attraverso il trapianto auologo e più cicli di chemioterapia. La combinzione carfilzomib- lenalidomide [Revlimid] e dexamethasone può essere una buona opzione di combinazione per carfilzomib ".
La maggior parte dei pazienti con mieloma multiplo recidivo  hanno sviluppato resistenza agli agenti nuovi, creando un continuo bisogno di opzioni terapeutiche aggiuntive. Carfilzomib ha dimostrato una potente attività nei pazienti con malattia recidivante o refrattario e un profilo di rischio-beneficio favorevole.
Una varietà di regimi sono stati utilizzati in tutti i 13 studi analizzati, ma i più comuni sono stati triplette contenenti carfilzomib, lenalidomide e desametasone, e carfilzomib, ciclofosfamide e desametasone. L'età mediana dei pazienti era compresa 56-74.
Nella maggior parte degli studi, carfilzomib stato somministrato alla dose di 20 mg / m 2 ai giorni 1 e 2 del primo ciclo e ad una dose maggiore di 36 mg / m 2 dopo che (20/36 mg / m 2 ). Alla dose di 20/36 mg / m 2 un'analisi dei sottogruppi ha mostrato che il tasso di CR è stata del 31%, mentre il tasso VGPR era 76%. L'ORR nella stessa analisi dei sottogruppi è stata del 95%.
"Anche nell'era della carfilzomib, il trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) e la terapia di consolidamento potrebbero migliorare ulteriormente la qualità di risposta", ha detto gli autori dello studio.
"Impressionante" la sopravvivenza libera da progressione (PFS): i tassi sono stati osservati attraverso i 13 studi analizzati, hanno riportato Sheng e icolleghi . A 1 anno, il 92% dei pazienti era ancora vivo e libero da progressione della malattia, mentre a 2 anni, il tasso di sopravvivenza libera da progressione è stata dell'84%. A 3 anni, il 76% dei pazienti trattati con una combinazione di carfilzomib fosse ancora vivo e libero da progressione della malattia.
Il trattamento è stato ben tollerato: anemia al 58% (tutti i gradi) era l'evento avverso ematologico più comune, seguita da trombocitopenia (51%) e neutropenia (47%). Un po 'più della metà dei pazienti ha avuto sia l'iperglicemia, mentre circa un terzo dei pazienti ogni sviluppato edema e nausea. test di funzionalità epatica erano elevati in circa il 30% dei pazienti.

mercoledì 15 marzo 2017

MIELOMA, con l'immunoterapia mortalità ridotta del 60%


 E' una opportunità sia per chi ha appena ricevuto la diagnosi sia per chi si è già sottoposte alle terapie ma è andato incontro a una ricaduta. La nuova frontiera delle terapie per il mieloma multiplo risiedono nella stimolazione del sistema immunitario. In una sola parola: nell’immunoterapia . L’insieme di progressi contro questo tumore del sangue è stato al centro dell’attenzione del workshop internazionale sul mieloma multiplo, appena conclusosi a Nuova Delhi. 

Mortalità ridotta fino al 60 per cento  
Si chiama daratumumab il primo di una nuova classe di anticorpi monoclonaliche, grazie ad un meccanismo d’azione nuovo, può sia stimolare il sistema immunitario sia attaccare direttamente le cellule tumorali del mieloma multiplo. 

Gli studi a oggi effettuati sui pazienti più difficili da trattare, perché refrattari e quindi non più in grado di rispondere alle terapie disponibili, hanno mostrato risultati di efficacia mai raggiunti prima in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia e di risposta generale alla terapia. Questi, come spiega Michele Cavo, ordinario di ematologia all’Università di Bologna, «sono i pazienti più complessi da trattare, che presentano un’attesa di vita di pochi mesi. Daratumumab in monoterapia ha prolungato la sopravvivenza di questi pazienti di 3 o 4 volte».  

La molecola rappresenta un giro di boa nel miglioramento della terapia per il mieloma multiplo. «Gli anticorpi monoclonali hanno il potenziale per cambiare radicalmente la strategia terapeutica del mieloma multiplo - fa eco Mario Boccadoro, direttore dell’ematologia universitaria di Torino -. Daratumumab può essere aggiunto alle terapie in corso e ha consentito di ottenere ottimi risultati anche nei pazienti più complessi. In combinazione, in soggetti alla seconda o terza ricaduta, ha consentito di ridurre la mortalità fino al 60 per cento. Ora sono in corso studi per utilizzarlo già alla diagnosi e si aprono nuovi orizzonti. L’obiettivo è essere un giorno in grado di cronicizzare il mieloma multiplo».  

Le prospettive dell’immunoterapia  
Il nuovo farmaco - in fase di approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) - è il primo della classe di anticorpi monoclonali chiamati anti CD-38, in grado di unire all’attività immunitaria un’azione diretta che porta a morte le cellule tumorali. La molecola agisce su una proteina (CD-38) espressa dalle cellule del mieloma multiplo a ogni stadio della malattia. Si tratta dunque di un vero e proprio «serial killer» per le cellule malate, in grado di uccidere soltanto le cellule cancerose. Prosegue Boccadoro: «Da quando la ricerca si muove nel campo degli anticorpi monoclonali, per il mieloma multiplo si sta inaugurando una fase completamente nuova e si stanno aprendo prospettive interessanti anche per i pazienti che in precedenza avevano ricevuto numerose linee di trattamento». 

lunedì 13 marzo 2017

CANNABIS, esperimenti di uso terapeUtico contro il MIELOMA


C’è chi pensa che la pianta della cannabis sia usata esclusivamente per produrre prodotti “di svago”. E c’è chi invece su questa pianta ci ha scommesso molto: non solo agricoltori e imprenditori ma anche ricercatori e medici. Se l’uso della cannabis per alleviare le sofferenze dei pazienti è ormai una realtà, non sempre accettata, ma conosciuta, molto meno conosciuto è il campo della ricerca nel ridurre la crescita, o indurre la morte, delle cellule tumorali.
Sono centinaia gli studi in questo senso, svolti in silenzio nei laboratori di tutto il mondo fin dagli anni ’90, che hanno l’obiettivo di ampliare le conoscenze attuali sui farmaci antitumorali e dare nuove speranze ai malati.
Come nel laboratorio di Camerino, dove il Dr.Massimo Nabissi, ricercatore del gruppo di Patologia ed Immunologia della Scuola del Farmaco e dei Prodotti della Salute, lavora fin dal 2008 allo studio sul ruolo anti-tumorale dei cannabinoidi sia nel GBM (tumore del cervello) sia nel mieloma multiplo. E i risultati sono davvero importanti.
“L’idea dello studio nel mieloma è nata – ci racconta Nabissi – da una collaborazione con il Dipartimento di Ematologia degli Ospedali Riuniti di Ancona. Il nostro lavoro aveva dimostrato che la maggior parte delle cellule tumorali isolate dai pazienti analizzati mostrava la presenza di un recettore di membrana che rispondeva se stimolato con i cannabidiolo (CBD). Da questo dato siamo andati a valutare “in vitro” l’effetto del CBD sia da solo sia in combinazione con un farmaco utilizzato di solito nella terapia del mieloma multiplo (il Bortezomib). I dati hanno dimostrato un ruolo anti-proliferativo del CBD e un’azione sinergica della combinazione CBD insieme al farmaco.”. Che cosa vuol dire in concreto? Che l’aggiunta del principio attivo della cannabis, insieme al farmaco già conosciuto, permette di ottenere una risposta maggiore rispetto a quella dei due farmaci usati singolarmente.Da qui la spinta a continuare. “Nel lavoro successivo – continua Nabissi- abbiamo testato la combinazione THC/CBD in combinazione con un nuovo farmaco (Carfilzomib) sempre nel mieloma multiplo e anche in questo caso i dati hanno dimostrato che la combinazione è più efficace dei singoli farmaci ed inoltre riduce la migrazione (processo di metastasi) delle cellule tumorali. Questi dati “in vitro” che abbiamo ottenuto, sono stati presi ad esempio, da una Biotech Israeliana, per la richiesta di avvio del primo studio “in vivo”, in pazienti affetti da mieloma multiplo”.
 Per la prima volta quindi la sperimentazione non si limiterà ad essere studiata su delle cellule (fasi pre cliniche di una ricerca) ma arriverà su veri e propri pazienti che utilizzeranno, insieme al farmaco “ufficiale”, anche quello a base di THC e CBD.
Se quindi per il mieloma multiplo la sperimentazione sui pazienti sta per cominciare,per altri tipi di tumori la ricerca è già molto avanti. Ci spiega Nabissi: “La sperimentazione con THC/CBD in combinazione con Temodal (il farmaco attualmente in uso nella terapia per il tumore al cervello), ha ormai superato la fase clinica II, con risultati che sono stati appena pubblicati nel sito della casa farmaceutica che ha svolto la sperimentazione . Da quello che si legge, a breve organizzeranno la fase clinica III che se darà risultati positivi potrà permettere di utilizzare questa combinazione nella terapia futura su centinaia o migliaia di pazienti. Per altri tipi di tumore, come il tumore al seno, al polmone, melanoma, pancreas la ricerca è in una fase avanzata a livello di studi pre-clinici”.
Nonostante i risultati diano ragione a queste ricerche e suggerirebbero di continuare su questa strada, Nabissi non nasconde il suo rammarico: “Quello che noto in Italia è che ci sono due principali prese di posizione, chi è a favore e chi è contro all’uso terapeutico dei cannabinodi. Trattandosi di farmaci, facendo una comparazione semplicistica, è come se in Italia ci fossero due prese di posizione pro e contro alla morfina, agli anti-depressivi o agli oppiacei. Se i cannabinoidi vengono viste come “droghe”, lo stesso dovrebbe valere per la morfina, per gli oppiacei (utilizzati nei cerotti antidolorifici ed acquistabili in farmacia) o per gli anti-depressivi (es. le benzodiazepine), tutti farmaci che possono indurre dipendenza psicologica e fisica (tutti dati reperibili sul sito del Ministero della Salute o nel sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco). Quindi mi chiederei, perché esiste questo pregiudizio per i farmaci cannabinodi? All’estero, almeno in alcuni paesi europei e negli Sati Uniti d’America, l’argomento cannabis terapeutica viene trattato in modo molto più approfondito e lo sviluppo d’imprese che lavorano nell’ambito della cannabis è in forte espansione. Solo in Europa (Olanda, U.K., Germania, Spagna Svizzera, Repubblica Ceca, ecc…) sono presenti diverse ditte che si occupano nello sviluppare nuovi incroci di piante, nella purificazione di cannabinodi, nello sviluppo di nuove formulazioni, nella ricerca pre-clinica”. In Italia fare ricerca in questo campo è davvero difficile da punto di vista burocratico o di autorizzazioni, chissà se nel futuro qualcosa cambierà
“Personalmente – ci dice ancora Nabissi – credo che in futuro l’uso terapeutico, in specifiche patologie tumorali, avrà applicazione clinica. A livello di ricerca, sono abbastanza convinto che la sperimentazione sui cannabinoidi avrà un grosso sviluppo in alcuni stati europei.”